L’11 Maggio 1860, quasi Mille avanzi di galera sbarcarono a Marsala, violenti e malfamati, protetti dagli Inglesi, con a capo un Criminale massone di nome Giuseppe Garibaldi, un ladro di cavalli, a cui avevano mozzato le orecchie in Argentina perché beccato in flagranza di reato. Un manipolo di barbari che scese dal Piemonte! “Parlavano una strana lingua e bestemmiavano in continuazione, donne stuprate, uomini e bambini uccisi e trucidati. Interi paesi bruciati e rasi al suolo. Ogni ricchezza venne saccheggiata… I crimini commessi dai lombardo-piemontesi contro il popolo meridionale sono INENARRABILI. Furono talmente EFFERATI che ancora oggi vengono taciuti.
Altro che fratelli d’Itaglia! Non siamo nemmeno parenti alla lontana!. Quante menzogne, quanti massacri, quanto sangue e quante lacrime abbiamo versato e stiamo versando ancora per questa Italia bugiarda. Chi conosce la verità deve divulgarla, farla conoscere a tutti e riportare alla luce le verità sepolte. Divulgarle a chi ignora. L’Unità d’Italia ha distrutto la vera Italianità ed il buon rapporto fra gli stessi Italiani. La spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale, ha il sapore di un’avventura epica quasi cinematografica, compiuta da soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud, combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito molto più numeroso e potente, risalgono la penisola fino a giungere a Napoli, la capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su per dare agli italiani la nazione unita. Troppo bello per essere vero, e difatti non lo è! La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti coi quali furono comprati diversi uomini chiave dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi, che agli inglesi non mancherà mai di dichiarare la sua gratitudine e amicizia. I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna, Roma, Torino e Milano e Napoli forniscono una documentazione utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che spazzò via il Regno delle Due Sicilie, non certo per mano di mille prodi alla ventura animati da un ideale unitario.
La storia ufficiale racconta che i Mille guidati da Garibaldi, benché disorganizzati e privi di alcuna esperienza in campo militare, prevalsero su un esercito di settantamila soldati ben addestrati e ben equipaggiati. In realtà l’impresa di Garibaldi riuscì solo grazie ai finanziamenti dei Rothschild, che furono in gran parte utilizzati dai Savoia per corrompere gli alti ufficiali dell’esercito borbonico, che alla vista dei Mille battevano in ritirata, consentendo così la disfatta sul campo. Il sud fu presto invaso e depredato di ogni ricchezza, l’oro del Regno scomparve per sempre. Stupri, esecuzioni di massa, crimini di guerra e violenze di ogni genere erano all’ ordine del giorno. L’unica alternativa alla morte era l’emigrazione. Il popolo cominciò a lasciare le campagne per trovare altrove una via di fuga. Ben presto però il malcontento generale fomentò la ribellione dei sopravvissuti, si trattava di poveri contadini e gente di fatica che la propaganda savoiarda bollò con il dispregiativo di “briganti”, così da giustificarne la brutale soppressione. Francesco II profetizzò che non ci sarebbero rimasti neanche gli occhi per piangere. E così fù da quel momento e per le generazioni a venire. Di soldi, nel 1860, ne circolano davvero parecchi per l’operazione. Si parla di circa tre milioni di franchi francesi solo in Inghilterra, denaro investito per comprare il tradimento di chi serve allo scopo, ma anche armi, munizioni e navi. A Londra nasce il “Garibaldi Italian Fund Committee”, un fondo utile ad ingaggiare i mercenari che devono formare la “Legione Britannica”, uomini feroci che aiuteranno il Generale italiano nei combattimenti che verrano. Garibaldi diviene un eroe in terra d’Albione, con una popolarità alle stelle. Nascono i “Garibaldi’s gadgets”: ritratti, composizioni musicali, spille, profumi, cioccolatini, caramelle e biscotti, tutto era utile a reperire fondi utili all’impresa in Italia. Il Regno britannico, con la sua politica imperiale espansionistica che tanti danni ha fatto nel mondo e di cui ancora oggi se ne pagano le conseguenze (vedi conflitto israelo-palestinese), ebbe più di una ragione per promuovere la fine della nazione napoletana e liberarsi di un soggetto politico-economico divenuto uno scomodo concorrente. La massoneria inglese aveva come priorità politica la cancellazione delle monarchie cattoliche e la cattolica Napoli era ormai invisa alla protestante e massonica Londra che mirava alla cancellazione del potere papale. I Borbone costituivano principale ostacolo a questo obiettivo che coincideva con quello dei Savoia, anch’essi massoni, di impossessarsi dei fruttuosi possedimenti della Chiesa per risollevare le proprie casse. Massoni erano i politici britannici Lord Palmerston, primo ministro britannico, e Lord Gladstone, gran denigratore dei Borbone. E massoni erano pure Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Cavour. La nazione Napoletana percorreva una sua crescita esponenziale con un buon livello di sviluppo industriale. Un risultato frutto della politica di Ferdinando II che portò avanti un buon grado di sviluppo autonomo atto a spezzare le catene delle dipendenze straniere. Con una buona flotta navale le Due Sicilie costituivano un pericolo per la grande potenza navale inglese anche in funzione dell’apertura dei traffici con l’oriente nel Canale di Suez i cui scavi cominciarono proprio nel 1859, alla vigilia dell’avventura garibaldina. L’integrazione del sistema marittimo con quello ferroviario, con la costruzione delle ferrovie nel meridione con cui le merci potessero viaggiare anche su ferro, insieme alla posizione d’assoluto vantaggio del Regno delle Due Sicilie nel Mediterraneo rispetto alla più lontana Gran Bretagna, fu motivo di timore per Londra, che già non aveva tollerato gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’Impero Russo, grazie ai quali la flotta zarista navigava serenamente nel Mediterraneo, avendo come basi d’appoggio proprio i porti delle Due Sicilie. E il controllo del Mediterraneo era una priorità per la “perfida Albione” che si era impossessata di Gibilterra e poi di Malta, e mirava ad avere il controllo della stessa Sicilia, quale punto più strategico per gli accadimenti nel mediterraneo e in oriente. L’isola però costituiva la sicurezza per l’indipendenza Napolitana e in mano agli stranieri se ne sarebbe decretata certamente la fine, come fece notare Giovanni Aceto nel suo scritto “De la Sicilie et de ses rapports avec l’Angleterre”. La presenza inglese in Sicilia era già ingombrante ed imponeva con i cannoni a Napoli il remunerativo monopolio dello zolfo di cui l’isola era ricca per l’80% della produzione mondiale; con lo zolfo, all’epoca, si produceva di tutto ed era una sorta di petrolio per quel mondo. E come per il petrolio oggi nei paesi mediorientali, così allora la Sicilia destava il grande interesse dei governi imperialisti. I regnanti borbonici cercavano il nemico in casa propria senza considerare che il vero nemico era alle sue porte. Dopo 156 anni dalla forzata unità ancora si parla di questione meridionale, l’antico Regno delle Due Sicilie non è ancora italiano perché la differenza tra nord e sud è ancora evidente. Anche i più distratti scoveranno diverse analogie con quella che oggi viene invece definita questione palestinese. Stesse tecniche di disinformazione, stesse mire espansionistiche e soprattutto stesse famiglie di banchieri.
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