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lunedì 15 febbraio 2021

John Morreall, Filosofia dell’umorismo. Origini, etica e virtù della risata

fillide.it 

[John Mor­reall, Fi­lo­so­fia del­l’u­mo­ri­smo. Ori­gi­ni, etica e virtù della ri­sa­ta, Si­ro­ni Edi­to­re, Mi­la­no 2011, pp. 264]

L'au­to­re, John Mor­reall, fi­lo­so­fo, ha in­se­gna­to pres­so di­ver­se uni­ver­si­tà sta­tu­ni­ten­si, è pro­fes­so­re pres­so il Col­le­ge of Wil­liam and Mary di Wil­liam­sburg, in Vir­gi­na. Da oltre 25 anni si oc­cu­pa di umo­ri­smo, pub­bli­can­do nu­me­ro­si saggi di suc­ces­so. È fon­da­to­re della "In­ter­na­tio­nal So­cie­ty for Humor Stu­dies" e mem­bro del co­mi­ta­to edi­to­ria­le dell’"In­ter­na­tio­nal Jour­nal of Humor Re­sear­ch". I suoi la­vo­ri sono pub­bli­ca­ti su "The New York Times", "The Wa­shing­ton Post" e "The Eco­no­mi­st".

«Di tutte le at­ti­vi­tà ed espe­rien­ze umane, ri­de­re è pro­ba­bil­men­te la più di­ver­ten­te», que­sto l'in­ci­pit del sag­gio Fi­lo­so­fia del­l’u­mo­ri­smo. Ma per­ché ri­dia­mo? L'au­to­re si chie­de cosa su­sci­ti il riso ed esa­mi­na le ca­rat­te­ri­sti­che pro­prie del­l'u­mo­ri­smo, at­tra­ver­so un ex­cur­sus sto­ri­co, il­lu­stran­do i dif­fe­ren­ti giu­di­zi espres­si in­tor­no al fe­no­me­no. La te­ma­ti­ca è af­fron­ta­ta da pro­spet­ti­ve di­ver­se ma com­ple­men­ta­ri, di­stin­guen­do tra punto di vista psi­co­lo­gi­co, etico ed este­ti­co.

La let­tu­ra del testo è pia­ce­vo­le e resa di­ver­ten­te, senza mai ca­de­re nella ba­na­li­tà, da esem­pi trat­ti dalla vita quo­ti­dia­na, in cui il let­to­re può ri­co­no­scer­si.

Nel­l'in­tro­du­zio­ne l'au­to­re espli­ci­ta la tesi cen­tra­le del­l'o­pe­ra:

Con l'u­mo­ri­smo fac­cia­mo espe­rien­za di un im­prov­vi­so cam­bia­men­to nel no­stro stato men­ta­le - per così dire di uno slit­ta­men­to co­gni­ti­vo - che in con­di­zio­ni nor­ma­li, cioè se lo pren­des­si­mo sul serio, sa­reb­be di­stur­ban­te. Sgan­cia­ti da pre­oc­cu­pa­zio­ni or­di­na­rie, in­ve­ce, stia­mo al­le­gri e ci di­ver­tia­mo. Vo­glio so­ste­ne­re che gli es­se­ri umani, in­sie­me ai pri­ma­ti che hanno im­pa­ra­to un lin­guag­gio, sono i soli ani­ma­li ca­pa­ci di far que­sto per­ché sono ra­zio­na­li.

Ne con­se­gue che solo gli es­se­ri umani hanno la ca­pa­ci­tà di guar­da­re con di­stac­co si­tua­zio­ni pro­ble­ma­ti­che o con­trad­dit­to­rie.

Mor­reall ana­liz­za la con­ce­zio­ne del­l'u­mo­ri­smo dif­fu­sa nel mondo clas­si­co, me­dioe­va­le e mo­der­no di­stin­guen­do tra una cul­tu­ra po­po­la­re, in cui il co­mi­co ap­par­te­ne­va alle feste ed era con­si­de­ra­to li­be­ra­to­rio, con­trap­po­sta ad una ri­fles­sio­ne fi­lo­so­fi­ca e re­li­gio­sa che spes­so ve­de­va l'u­mo­ri­smo in ter­mi­ni ne­ga­ti­vi per la sua ca­pa­ci­tà di far per­de­re il con­trol­lo, di ce­de­re al­l'ir­ra­zio­na­li­tà e dan­neg­gia­re gli altri. A sup­por­to di que­sta tesi sono por­ta­ti esem­pi trat­ti da testi della tra­di­zio­ne fi­lo­so­fi­ca che ri­sa­le a Pla­to­ne e a Hob­bes e che trova tra i so­ste­ni­to­ri anche il con­tem­po­ra­neo Roger Scru­ton.

L'au­to­re ana­liz­za le tre teo­rie fon­da­men­ta­li sul­l'u­mo­ri­smo pri­vi­le­gian­do, al­me­no ini­zial­men­te, l'ap­proc­cio psi­co­lo­gi­co. Si po­treb­be ri­te­ne­re che il riso de­ri­van­do dalla per­ce­zio­ne di una si­tua­zio­ne ne­ga­ti­va de­ter­mi­ne­reb­be, in chi ride, un sen­ti­men­to di su­pe­rio­ri­tà ri­spet­to alle cose e alle per­so­ne di cui si burla, per que­sto è ge­ne­ral­men­te con­dan­na­to dalla fi­lo­so­fia tra­di­zio­na­le in quan­to im­mo­ra­le Di di­ver­sa opi­nio­ne Phi­lip Sid­ney il quale af­fer­ma che «la com­me­dia è un'i­mi­ta­zio­ne degli er­ro­ri co­mu­ni della no­stra vita», che «nes­su­no spet­ta­to­re si sen­ti­reb­be sod­di­sfat­to di con­si­de­rar­si il pro­ta­go­ni­sta della com­me­dia»; ma anche Henri Berg­son, che pur ve­den­do il riso come azio­ne de­ni­gran­te, af­fer­ma che esso spin­ge chi ne è og­get­to al ri­scat­to: a chi si pren­de gioco - scri­ve - della «ri­gi­di­tà mec­ca­ni­ca» che do­mi­na ampi seg­men­ti del­l’e­si­sten­za va tutta la mia so­li­da­rie­tà; e an­co­ra Hut­chen­son che nega la ne­ces­si­tà della su­pe­rio­ri­tà come causa del riso. In con­clu­sio­ne Mor­reall so­stie­ne che la tesi della su­pe­rio­ri­tà sia er­ra­ta o quan­to­me­no ri­dut­ti­va.

Si­cu­ra­men­te più con­vin­cen­te ri­sul­ta la “teo­ria del­l'in­con­gruen­za” per la quale causa del riso è la per­ce­zio­ne di una con­trad­di­zio­ne, del­l'in­con­gruen­za e con­trad­dit­to­rie­tà di un even­to ri­spet­to a un mo­del­lo di com­por­ta­men­to ap­pre­so e con­di­vi­so. È la tesi - se­con­do l'au­to­re - di Kant, di Kier­ke­gaard e di Scho­pe­n­hauer che, sep­pu­re in ma­nie­ra dif­fe­ren­te, col­go­no l'ir­ra­zio­na­li­tà a fon­da­men­to del riso.

Ri­man­go­no aper­te due que­stio­ni fon­da­men­ta­li:

1. Cosa si in­ten­de per con­trad­dit­to­rio?

2. L'ir­ra­zio­na­le, che do­vreb­be es­se­re com­bat­tu­to, come può es­se­re fonte di pia­ce­re?

Si po­treb­be ri­spon­de­re ri­chia­man­do la ri­fles­sio­ne di Ari­sto­te­le per cui la com­me­dia piace non tanto per l'i­la­ri­tà che su­sci­ta, ma per­ché ac­cre­sce le espe­rien­ze umane. La com­me­dia de­ter­mi­na «slit­ta­men­ti co­gni­ti­vi» - come li chia­ma Mor­reall - cioè eser­ci­zi gio­co­si, di­sin­te­res­sa­ti e ri­vol­ti al pia­ce­re: il riso quin­di come virtù, espres­sio­ne di vi­va­ci­tà spi­ri­tua­le come af­fer­ma­to da Tom­ma­so d'A­qui­no, voce fuori dal coro della tra­di­zio­ne.

Una terza teo­ria ana­liz­za­ta dal­l'au­to­re è quel­la del sol­lie­vo: il riso è li­be­ra­to­rio (Freud, Spen­cer, Dewey) e causa del riso sa­reb­be fon­da­men­tal­men­te il ri­la­scio di ener­gia in ec­ces­so che ac­cu­mu­lan­do­si de­ter­mi­ne­reb­be si­tua­zio­ni di di­sa­gio.

La trat­ta­zio­ne pro­se­gue con l'a­na­li­si della re­la­zio­ne tra di­ver­ten­te e umo­ri­sti­co, di­ver­ti­men­to ed emo­zio­ni, at­tra­ver­so un ex­cur­sus sulla psi­co­lo­gia del­l'u­mo­ri­smo se­con­do un ap­proc­cio evo­lu­zio­ni­sti­co. Ri­chia­man­do gli studi di eto­lo­gia, a par­ti­re da Jan Van Hoof, e della psi­co­lo­gia co­gni­ti­va l'au­to­re trova con­fer­ma alla tesi del­l'in­con­gruen­za come fon­da­men­to del riso. Dagli studi in­di­ret­ti sul com­por­ta­men­to del­l'au­stra­lo­pi­te­co e dalla ri­fles­sio­ne sul­l'uo­mo con­tem­po­ra­neo l'au­to­re ela­bo­ra uno sche­ma di base che espri­me la fe­no­me­no­lo­gia del­l'u­mo­ri­smo: slit­ta­men­to co­gni­ti­vo, un’in­con­gruen­za cui segue un at­teg­gia­men­to gio­co­so e di­stac­ca­to che porta al di­ver­ti­men­to ed in­fi­ne il riso come espres­sio­ne del di­ver­ti­men­to. L'au­to­re giun­ge alla con­clu­sio­ne che l'u­mo­ri­smo sia qual­co­sa di più che tro­va­re le cose di­ver­ten­ti e ri­de­re. Il di­ver­ti­men­to umo­ri­sti­co è af­fi­ne al gioco e al­l’e­spe­rien­za del­l’ar­te.

In­te­res­san­te è la ri­fles­sio­ne sulla va­len­za so­cia­le e co­gni­ti­va del riso che fa­vo­ri­sce la coe­sio­ne in­ter­na al grup­po e, allo stes­so tempo, con­si­ste - per ci­ta­re Kant - in «un gioco del pen­sie­ro» , un in­sie­me di azio­ni at­tra­ver­so le quali si svi­lup­pa la ra­zio­na­li­tà. At­ten­zio­ne: ri­de­re, ma ri­de­re con­sa­pe­vol­men­te. Ri­de­re è una cosa seria!

Una parte im­por­tan­te è de­di­ca­ta al­l'e­ste­ti­ca del­l'u­mo­ri­smo par­ten­do dal con­cet­to per cui «il di­ver­ti­men­to è una con­di­zio­ne po­si­ti­va non as­so­cia­ta a emo­zio­ni ne­ga­ti­ve». L'ar­te può es­se­re pro­mo­tri­ce di un at­teg­gia­men­to fles­si­bi­le, ra­zio­na­le, non-ego­cen­tri­co e at­ten­ta alla di­ver­si­tà. In par­ti­co­la­re l'au­to­re elo­gia le virtù della com­me­dia, sot­to­li­nean­do che le cri­ti­che in chia­ve co­mi­ca alla guer­ra - dalla com­me­dia clas­si­ca ai film di Char­lie Cha­plin a M*A*S*H - sono un esem­pio di come essa pro­muo­va at­teg­gia­men­ti più ra­zio­na­li, con­sa­pe­vo­li, crea­ti­vi e adat­ti­vi nello spet­ta­to­re. L'ar­te è un gioco, seb­be­ne un gioco in­tel­let­tua­le, in par­ti­co­la­re, ci­tan­do Bre­ton, pos­sie­de «quel me­ra­vi­glio­so po­te­re di at­tin­ge­re a due real­tà tra loro di­stan­ti ma senza usci­re dal campo della no­stra espe­rien­za e far scoc­ca­re una scin­til­la dal loro ac­co­sta­men­to».

Segue una parte re­la­ti­va al­l’u­mo­ri­smo spon­ta­neo che uni­sce le per­so­ne per­met­ten­do loro di scam­biar­si espe­rien­ze con­vin­zio­ni, at­ti­tu­di­ni, fa­vo­ren­do par­te­ci­pa­zio­ne ed em­pa­tia, come ave­va­no già os­ser­va­to nu­me­ro­si fi­lo­so­fi. Chi non si è di­ver­ti­to sen­ten­do una bar­zel­let­ta mor­da­ce? - ma l'au­to­re mette in guar­dia dagli ec­ces­si di cat­ti­vo gusto che sca­do­no nello sgua­ia­to e nel­l'ec­ces­so.

I ca­pi­to­li sul­l’e­ti­ca ne­ga­ti­va e sul­l’e­ti­ca po­si­ti­va del­l’u­mo­ri­smo, sono di par­ti­co­la­re in­te­res­se. Mor­reall ar­go­men­ta in fa­vo­re di una con­ce­zio­ne del­l’u­mo­ri­smo come virtù mo­ra­le con­fu­tan­do le ac­cu­se di in­sin­ce­ri­tà, inu­ti­li­tà, ir­re­spon­sa­bi­li­tà, edo­ni­smo e su­per­fi­cia­li­tà ri­vol­te dalle mo­ra­li clas­si­che al­l’u­mo­ri­smo. Al con­tra­rio ri­de­re di sé, guar­da­re con di­stac­co una real­tà spes­so as­sur­da o pa­ra­dos­sa­le fa­vo­ri­sce la com­pren­sio­ne della vita. Chi sa ri­de­re di sé è in grado di guar­da­re con oc­chio at­ten­to ciò che lo cir­con­da, svi­lup­pa crea­ti­vi­tà e sa porsi in un at­teg­gia­men­to an­ti­con­for­mi­sta e co­strut­ti­vo. L'au­to­re con­cor­da con l'af­fer­ma­zio­ne di R. C. Ro­berts: «L'i­ro­nia sulle pro­prie fis­sa­zio­ni è la ca­pa­ci­tà di tra­scen­de­re la pro­pria per­so­na, ma la ca­pa­ci­tà di tra­scen­de­re la pro­pria per­so­na sta alla base del con­cet­to di virtù mo­ra­le nel senso pieno del ter­mi­ne».

Il riso li­be­ra­to­rio di Za­ra­thu­stra o quel­lo scan­zo­na­to di Mark Twain evi­den­zia­no il co­rag­gio di af­fron­ta­re la sof­fe­ren­za, parte in­te­gran­te della vita; l'u­mo­ri­smo de­fi­ni­to da Kier­ke­gaard come «gioia che ha so­praf­fat­to il mondo», per­met­te di co­glie­re le con­trad­di­zio­ni del vi­ve­re. Con­clu­dia­mo con l'af­fer­ma­zio­ne di Char­lie Cha­plin: «la vita è una tra­ge­dia, se la guar­di da vi­ci­no, ma una com­me­dia se la guar­di da lon­ta­no».

[Sil­va­na Ca­stel­li]L'autore, John Morreall, filosofo, ha insegnato presso diverse università statunitensi, è professore presso il College of William and Mary di Williamsburg, in Virgina. Da oltre 25 anni si occupa di umorismo, pubblicando numerosi saggi di successo. È fondatore della "International Society for Humor Studies" e membro del comitato editoriale dell’"International Journal of Humor Research". I suoi lavori sono pubblicati su "The New York Times", "The Washington Post" e "The Economist".

«Di tutte le attività ed esperienze umane, ridere è probabilmente la più divertente», questo l'incipit del saggio Filosofia dell’umorismo. Ma perché ridiamo? L'autore si chiede cosa susciti il riso ed esamina le caratteristiche proprie dell'umorismo, attraverso un excursus storico, illustrando i differenti giudizi espressi intorno al fenomeno. La tematica è affrontata da prospettive diverse ma complementari, distinguendo tra punto di vista psicologico, etico ed estetico.

La lettura del testo è piacevole e resa divertente, senza mai cadere nella banalità, da esempi tratti dalla vita quotidiana, in cui il lettore può riconoscersi.

Nell'introduzione l'autore esplicita la tesi centrale dell'opera:

Con l'umorismo facciamo esperienza di un improvviso cambiamento nel nostro stato mentale - per così dire di uno slittamento cognitivo - che in condizioni normali, cioè se lo prendessimo sul serio, sarebbe disturbante. Sganciati da preoccupazioni ordinarie, invece, stiamo allegri e ci divertiamo. Voglio sostenere che gli esseri umani, insieme ai primati che hanno imparato un linguaggio, sono i soli animali capaci di far questo perché sono razionali.

Ne consegue che solo gli esseri umani hanno la capacità di guardare con distacco situazioni problematiche o contraddittorie.

Morreall analizza la concezione dell'umorismo diffusa nel mondo classico, medioevale e moderno distinguendo tra una cultura popolare, in cui il comico apparteneva alle feste ed era considerato liberatorio, contrapposta ad una riflessione filosofica e religiosa che spesso vedeva l'umorismo in termini negativi per la sua capacità di far perdere il controllo, di cedere all'irrazionalità e danneggiare gli altri. A supporto di questa tesi sono portati esempi tratti da testi della tradizione filosofica che risale a Platone e a Hobbes e che trova tra i sostenitori anche il contemporaneo Roger Scruton.

L'autore analizza le tre teorie fondamentali sull'umorismo privilegiando, almeno inizialmente, l'approccio psicologico. Si potrebbe ritenere che il riso derivando dalla percezione di una situazione negativa determinerebbe, in chi ride, un sentimento di superiorità rispetto alle cose e alle persone di cui si burla, per questo è generalmente condannato dalla filosofia tradizionale in quanto immorale Di diversa opinione Philip Sidney il quale afferma che «la commedia è un'imitazione degli errori comuni della nostra vita», che «nessuno spettatore si sentirebbe soddisfatto di considerarsi il protagonista della commedia»; ma anche Henri Bergson, che pur vedendo il riso come azione denigrante, afferma che esso spinge chi ne è oggetto al riscatto: a chi si prende gioco - scrive - della «rigidità meccanica» che domina ampi segmenti dell’esistenza va tutta la mia solidarietà; e ancora Hutchenson che nega la necessità della superiorità come causa del riso. In conclusione Morreall sostiene che la tesi della superiorità sia errata o quantomeno riduttiva.

Sicuramente più convincente risulta la “teoria dell'incongruenza” per la quale causa del riso è la percezione di una contraddizione, dell'incongruenza e contraddittorietà di un evento rispetto a un modello di comportamento appreso e condiviso. È la tesi - secondo l'autore - di Kant, di Kierkegaard e di Schopenhauer che, seppure in maniera differente, colgono l'irrazionalità a fondamento del riso.

Rimangono aperte due questioni fondamentali:

1. Cosa si intende per contraddittorio?

2. L'irrazionale, che dovrebbe essere combattuto, come può essere fonte di piacere?

Si potrebbe rispondere richiamando la riflessione di Aristotele per cui la commedia piace non tanto per l'ilarità che suscita, ma perché accresce le esperienze umane. La commedia determina «slittamenti cognitivi» - come li chiama Morreall - cioè esercizi giocosi, disinteressati e rivolti al piacere: il riso quindi come virtù, espressione di vivacità spirituale come affermato da Tommaso d'Aquino, voce fuori dal coro della tradizione.

Una terza teoria analizzata dall'autore è quella del sollievo: il riso è liberatorio (Freud, Spencer, Dewey) e causa del riso sarebbe fondamentalmente il rilascio di energia in eccesso che accumulandosi determinerebbe situazioni di disagio.

La trattazione prosegue con l'analisi della relazione tra divertente e umoristico, divertimento ed emozioni, attraverso un excursus sulla psicologia dell'umorismo secondo un approccio evoluzionistico. Richiamando gli studi di etologia, a partire da Jan Van Hoof, e della psicologia cognitiva l'autore trova conferma alla tesi dell'incongruenza come fondamento del riso. Dagli studi indiretti sul comportamento dell'australopiteco e dalla riflessione sull'uomo contemporaneo l'autore elabora uno schema di base che esprime la fenomenologia dell'umorismo: slittamento cognitivo, un’incongruenza cui segue un atteggiamento giocoso e distaccato che porta al divertimento ed infine il riso come espressione del divertimento. L'autore giunge alla conclusione che l'umorismo sia qualcosa di più che trovare le cose divertenti e ridere. Il divertimento umoristico è affine al gioco e all’esperienza dell’arte.

Interessante è la riflessione sulla valenza sociale e cognitiva del riso che favorisce la coesione interna al gruppo e, allo stesso tempo, consiste - per citare Kant - in «un gioco del pensiero» , un insieme di azioni attraverso le quali si sviluppa la razionalità. Attenzione: ridere, ma ridere consapevolmente. Ridere è una cosa seria!

Una parte importante è dedicata all'estetica dell'umorismo partendo dal concetto per cui «il divertimento è una condizione positiva non associata a emozioni negative». L'arte può essere promotrice di un atteggiamento flessibile, razionale, non-egocentrico e attenta alla diversità. In particolare l'autore elogia le virtù della commedia, sottolineando che le critiche in chiave comica alla guerra - dalla commedia classica ai film di Charlie Chaplin a M*A*S*H - sono un esempio di come essa promuova atteggiamenti più razionali, consapevoli, creativi e adattivi nello spettatore. L'arte è un gioco, sebbene un gioco intellettuale, in particolare, citando Breton, possiede «quel meraviglioso potere di attingere a due realtà tra loro distanti ma senza uscire dal campo della nostra esperienza e far scoccare una scintilla dal loro accostamento».

Segue una parte relativa all’umorismo spontaneo che unisce le persone permettendo loro di scambiarsi esperienze convinzioni, attitudini, favorendo partecipazione ed empatia, come avevano già osservato numerosi filosofi. Chi non si è divertito sentendo una barzelletta mordace? - ma l'autore mette in guardia dagli eccessi di cattivo gusto che scadono nello sguaiato e nell'eccesso.

I capitoli sull’etica negativa e sull’etica positiva dell’umorismo, sono di particolare interesse. Morreall argomenta in favore di una concezione dell’umorismo come virtù morale confutando le accuse di insincerità, inutilità, irresponsabilità, edonismo e superficialità rivolte dalle morali classiche all’umorismo. Al contrario ridere di sé, guardare con distacco una realtà spesso assurda o paradossale favorisce la comprensione della vita. Chi sa ridere di sé è in grado di guardare con occhio attento ciò che lo circonda, sviluppa creatività e sa porsi in un atteggiamento anticonformista e costruttivo. L'autore concorda con l'affermazione di R. C. Roberts: «L'ironia sulle proprie fissazioni è la capacità di trascendere la propria persona, ma la capacità di trascendere la propria persona sta alla base del concetto di virtù morale nel senso pieno del termine».

Il riso liberatorio di Zarathustra o quello scanzonato di Mark Twain evidenziano il coraggio di affrontare la sofferenza, parte integrante della vita; l'umorismo definito da Kierkegaard come «gioia che ha sopraffatto il mondo», permette di cogliere le contraddizioni del vivere. Concludiamo con l'affermazione di Charlie Chaplin: «la vita è una tragedia, se la guardi da vicino, ma una commedia se la guardi da lontano».

 

[Silvana Castelli][John Morreall, Filosofia dell’umorismo. Origini, etica e virtù della risata, Sironi Editore, Milano 2011, pp. 264]

 

L'autore, John Morreall, filosofo, ha insegnato presso diverse università statunitensi, è professore presso il College of William and Mary di Williamsburg, in Virgina. Da oltre 25 anni si occupa di umorismo, pubblicando numerosi saggi di successo. È fondatore della "International Society for Humor Studies" e membro del comitato editoriale dell’"International Journal of Humor Research". I suoi lavori sono pubblicati su "The New York Times", "The Washington Post" e "The Economist".

«Di tutte le attività ed esperienze umane, ridere è probabilmente la più divertente», questo l'incipit del saggio Filosofia dell’umorismo. Ma perché ridiamo? L'autore si chiede cosa susciti il riso ed esamina le caratteristiche proprie dell'umorismo, attraverso un excursus storico, illustrando i differenti giudizi espressi intorno al fenomeno. La tematica è affrontata da prospettive diverse ma complementari, distinguendo tra punto di vista psicologico, etico ed estetico.

La lettura del testo è piacevole e resa divertente, senza mai cadere nella banalità, da esempi tratti dalla vita quotidiana, in cui il lettore può riconoscersi.

Nell'introduzione l'autore esplicita la tesi centrale dell'opera:

Con l'umorismo facciamo esperienza di un improvviso cambiamento nel nostro stato mentale - per così dire di uno slittamento cognitivo - che in condizioni normali, cioè se lo prendessimo sul serio, sarebbe disturbante. Sganciati da preoccupazioni ordinarie, invece, stiamo allegri e ci divertiamo. Voglio sostenere che gli esseri umani, insieme ai primati che hanno imparato un linguaggio, sono i soli animali capaci di far questo perché sono razionali.

Ne consegue che solo gli esseri umani hanno la capacità di guardare con distacco situazioni problematiche o contraddittorie.

Morreall analizza la concezione dell'umorismo diffusa nel mondo classico, medioevale e moderno distinguendo tra una cultura popolare, in cui il comico apparteneva alle feste ed era considerato liberatorio, contrapposta ad una riflessione filosofica e religiosa che spesso vedeva l'umorismo in termini negativi per la sua capacità di far perdere il controllo, di cedere all'irrazionalità e danneggiare gli altri. A supporto di questa tesi sono portati esempi tratti da testi della tradizione filosofica che risale a Platone e a Hobbes e che trova tra i sostenitori anche il contemporaneo Roger Scruton.

L'autore analizza le tre teorie fondamentali sull'umorismo privilegiando, almeno inizialmente, l'approccio psicologico. Si potrebbe ritenere che il riso derivando dalla percezione di una situazione negativa determinerebbe, in chi ride, un sentimento di superiorità rispetto alle cose e alle persone di cui si burla, per questo è generalmente condannato dalla filosofia tradizionale in quanto immorale Di diversa opinione Philip Sidney il quale afferma che «la commedia è un'imitazione degli errori comuni della nostra vita», che «nessuno spettatore si sentirebbe soddisfatto di considerarsi il protagonista della commedia»; ma anche Henri Bergson, che pur vedendo il riso come azione denigrante, afferma che esso spinge chi ne è oggetto al riscatto: a chi si prende gioco - scrive - della «rigidità meccanica» che domina ampi segmenti dell’esistenza va tutta la mia solidarietà; e ancora Hutchenson che nega la necessità della superiorità come causa del riso. In conclusione Morreall sostiene che la tesi della superiorità sia errata o quantomeno riduttiva.

Sicuramente più convincente risulta la “teoria dell'incongruenza” per la quale causa del riso è la percezione di una contraddizione, dell'incongruenza e contraddittorietà di un evento rispetto a un modello di comportamento appreso e condiviso. È la tesi - secondo l'autore - di Kant, di Kierkegaard e di Schopenhauer che, seppure in maniera differente, colgono l'irrazionalità a fondamento del riso.

Rimangono aperte due questioni fondamentali:

1. Cosa si intende per contraddittorio?

2. L'irrazionale, che dovrebbe essere combattuto, come può essere fonte di piacere?

Si potrebbe rispondere richiamando la riflessione di Aristotele per cui la commedia piace non tanto per l'ilarità che suscita, ma perché accresce le esperienze umane. La commedia determina «slittamenti cognitivi» - come li chiama Morreall - cioè esercizi giocosi, disinteressati e rivolti al piacere: il riso quindi come virtù, espressione di vivacità spirituale come affermato da Tommaso d'Aquino, voce fuori dal coro della tradizione.

Una terza teoria analizzata dall'autore è quella del sollievo: il riso è liberatorio (Freud, Spencer, Dewey) e causa del riso sarebbe fondamentalmente il rilascio di energia in eccesso che accumulandosi determinerebbe situazioni di disagio.

La trattazione prosegue con l'analisi della relazione tra divertente e umoristico, divertimento ed emozioni, attraverso un excursus sulla psicologia dell'umorismo secondo un approccio evoluzionistico. Richiamando gli studi di etologia, a partire da Jan Van Hoof, e della psicologia cognitiva l'autore trova conferma alla tesi dell'incongruenza come fondamento del riso. Dagli studi indiretti sul comportamento dell'australopiteco e dalla riflessione sull'uomo contemporaneo l'autore elabora uno schema di base che esprime la fenomenologia dell'umorismo: slittamento cognitivo, un’incongruenza cui segue un atteggiamento giocoso e distaccato che porta al divertimento ed infine il riso come espressione del divertimento. L'autore giunge alla conclusione che l'umorismo sia qualcosa di più che trovare le cose divertenti e ridere. Il divertimento umoristico è affine al gioco e all’esperienza dell’arte.

Interessante è la riflessione sulla valenza sociale e cognitiva del riso che favorisce la coesione interna al gruppo e, allo stesso tempo, consiste - per citare Kant - in «un gioco del pensiero» , un insieme di azioni attraverso le quali si sviluppa la razionalità. Attenzione: ridere, ma ridere consapevolmente. Ridere è una cosa seria!

Una parte importante è dedicata all'estetica dell'umorismo partendo dal concetto per cui «il divertimento è una condizione positiva non associata a emozioni negative». L'arte può essere promotrice di un atteggiamento flessibile, razionale, non-egocentrico e attenta alla diversità. In particolare l'autore elogia le virtù della commedia, sottolineando che le critiche in chiave comica alla guerra - dalla commedia classica ai film di Charlie Chaplin a M*A*S*H - sono un esempio di come essa promuova atteggiamenti più razionali, consapevoli, creativi e adattivi nello spettatore. L'arte è un gioco, sebbene un gioco intellettuale, in particolare, citando Breton, possiede «quel meraviglioso potere di attingere a due realtà tra loro distanti ma senza uscire dal campo della nostra esperienza e far scoccare una scintilla dal loro accostamento».

Segue una parte relativa all’umorismo spontaneo che unisce le persone permettendo loro di scambiarsi esperienze convinzioni, attitudini, favorendo partecipazione ed empatia, come avevano già osservato numerosi filosofi. Chi non si è divertito sentendo una barzelletta mordace? - ma l'autore mette in guardia dagli eccessi di cattivo gusto che scadono nello sguaiato e nell'eccesso.

I capitoli sull’etica negativa e sull’etica positiva dell’umorismo, sono di particolare interesse. Morreall argomenta in favore di una concezione dell’umorismo come virtù morale confutando le accuse di insincerità, inutilità, irresponsabilità, edonismo e superficialità rivolte dalle morali classiche all’umorismo. Al contrario ridere di sé, guardare con distacco una realtà spesso assurda o paradossale favorisce la comprensione della vita. Chi sa ridere di sé è in grado di guardare con occhio attento ciò che lo circonda, sviluppa creatività e sa porsi in un atteggiamento anticonformista e costruttivo. L'autore concorda con l'affermazione di R. C. Roberts: «L'ironia sulle proprie fissazioni è la capacità di trascendere la propria persona, ma la capacità di trascendere la propria persona sta alla base del concetto di virtù morale nel senso pieno del termine».

Il riso liberatorio di Zarathustra o quello scanzonato di Mark Twain evidenziano il coraggio di affrontare la sofferenza, parte integrante della vita; l'umorismo definito da Kierkegaard come «gioia che ha sopraffatto il mondo», permette di cogliere le contraddizioni del vivere. Concludiamo con l'affermazione di Charlie Chaplin: «la vita è una tragedia, se la guardi da vicino, ma una commedia se la guardi da lontano».

 

[Silvana Castelli][John Morreall, Filosofia dell’umorismo. Origini, etica e virtù della risata, Sironi Editore, Milano 2011, pp. 264]

 

L'autore, John Morreall, filosofo, ha insegnato presso diverse università statunitensi, è professore presso il College of William and Mary di Williamsburg, in Virgina. Da oltre 25 anni si occupa di umorismo, pubblicando numerosi saggi di successo. È fondatore della "International Society for Humor Studies" e membro del comitato editoriale dell’"International Journal of Humor Research". I suoi lavori sono pubblicati su "The New York Times", "The Washington Post" e "The Economist".

«Di tutte le attività ed esperienze umane, ridere è probabilmente la più divertente», questo l'incipit del saggio Filosofia dell’umorismo. Ma perché ridiamo? L'autore si chiede cosa susciti il riso ed esamina le caratteristiche proprie dell'umorismo, attraverso un excursus storico, illustrando i differenti giudizi espressi intorno al fenomeno. La tematica è affrontata da prospettive diverse ma complementari, distinguendo tra punto di vista psicologico, etico ed estetico.

La lettura del testo è piacevole e resa divertente, senza mai cadere nella banalità, da esempi tratti dalla vita quotidiana, in cui il lettore può riconoscersi.

Nell'introduzione l'autore esplicita la tesi centrale dell'opera:

Con l'umorismo facciamo esperienza di un improvviso cambiamento nel nostro stato mentale - per così dire di uno slittamento cognitivo - che in condizioni normali, cioè se lo prendessimo sul serio, sarebbe disturbante. Sganciati da preoccupazioni ordinarie, invece, stiamo allegri e ci divertiamo. Voglio sostenere che gli esseri umani, insieme ai primati che hanno imparato un linguaggio, sono i soli animali capaci di far questo perché sono razionali.

Ne consegue che solo gli esseri umani hanno la capacità di guardare con distacco situazioni problematiche o contraddittorie.

Morreall analizza la concezione dell'umorismo diffusa nel mondo classico, medioevale e moderno distinguendo tra una cultura popolare, in cui il comico apparteneva alle feste ed era considerato liberatorio, contrapposta ad una riflessione filosofica e religiosa che spesso vedeva l'umorismo in termini negativi per la sua capacità di far perdere il controllo, di cedere all'irrazionalità e danneggiare gli altri. A supporto di questa tesi sono portati esempi tratti da testi della tradizione filosofica che risale a Platone e a Hobbes e che trova tra i sostenitori anche il contemporaneo Roger Scruton.

L'autore analizza le tre teorie fondamentali sull'umorismo privilegiando, almeno inizialmente, l'approccio psicologico. Si potrebbe ritenere che il riso derivando dalla percezione di una situazione negativa determinerebbe, in chi ride, un sentimento di superiorità rispetto alle cose e alle persone di cui si burla, per questo è generalmente condannato dalla filosofia tradizionale in quanto immorale Di diversa opinione Philip Sidney il quale afferma che «la commedia è un'imitazione degli errori comuni della nostra vita», che «nessuno spettatore si sentirebbe soddisfatto di considerarsi il protagonista della commedia»; ma anche Henri Bergson, che pur vedendo il riso come azione denigrante, afferma che esso spinge chi ne è oggetto al riscatto: a chi si prende gioco - scrive - della «rigidità meccanica» che domina ampi segmenti dell’esistenza va tutta la mia solidarietà; e ancora Hutchenson che nega la necessità della superiorità come causa del riso. In conclusione Morreall sostiene che la tesi della superiorità sia errata o quantomeno riduttiva.

Sicuramente più convincente risulta la “teoria dell'incongruenza” per la quale causa del riso è la percezione di una contraddizione, dell'incongruenza e contraddittorietà di un evento rispetto a un modello di comportamento appreso e condiviso. È la tesi - secondo l'autore - di Kant, di Kierkegaard e di Schopenhauer che, seppure in maniera differente, colgono l'irrazionalità a fondamento del riso.

Rimangono aperte due questioni fondamentali:

1. Cosa si intende per contraddittorio?

2. L'irrazionale, che dovrebbe essere combattuto, come può essere fonte di piacere?

Si potrebbe rispondere richiamando la riflessione di Aristotele per cui la commedia piace non tanto per l'ilarità che suscita, ma perché accresce le esperienze umane. La commedia determina «slittamenti cognitivi» - come li chiama Morreall - cioè esercizi giocosi, disinteressati e rivolti al piacere: il riso quindi come virtù, espressione di vivacità spirituale come affermato da Tommaso d'Aquino, voce fuori dal coro della tradizione.

Una terza teoria analizzata dall'autore è quella del sollievo: il riso è liberatorio (Freud, Spencer, Dewey) e causa del riso sarebbe fondamentalmente il rilascio di energia in eccesso che accumulandosi determinerebbe situazioni di disagio.

La trattazione prosegue con l'analisi della relazione tra divertente e umoristico, divertimento ed emozioni, attraverso un excursus sulla psicologia dell'umorismo secondo un approccio evoluzionistico. Richiamando gli studi di etologia, a partire da Jan Van Hoof, e della psicologia cognitiva l'autore trova conferma alla tesi dell'incongruenza come fondamento del riso. Dagli studi indiretti sul comportamento dell'australopiteco e dalla riflessione sull'uomo contemporaneo l'autore elabora uno schema di base che esprime la fenomenologia dell'umorismo: slittamento cognitivo, un’incongruenza cui segue un atteggiamento giocoso e distaccato che porta al divertimento ed infine il riso come espressione del divertimento. L'autore giunge alla conclusione che l'umorismo sia qualcosa di più che trovare le cose divertenti e ridere. Il divertimento umoristico è affine al gioco e all’esperienza dell’arte.

Interessante è la riflessione sulla valenza sociale e cognitiva del riso che favorisce la coesione interna al gruppo e, allo stesso tempo, consiste - per citare Kant - in «un gioco del pensiero» , un insieme di azioni attraverso le quali si sviluppa la razionalità. Attenzione: ridere, ma ridere consapevolmente. Ridere è una cosa seria!

Una parte importante è dedicata all'estetica dell'umorismo partendo dal concetto per cui «il divertimento è una condizione positiva non associata a emozioni negative». L'arte può essere promotrice di un atteggiamento flessibile, razionale, non-egocentrico e attenta alla diversità. In particolare l'autore elogia le virtù della commedia, sottolineando che le critiche in chiave comica alla guerra - dalla commedia classica ai film di Charlie Chaplin a M*A*S*H - sono un esempio di come essa promuova atteggiamenti più razionali, consapevoli, creativi e adattivi nello spettatore. L'arte è un gioco, sebbene un gioco intellettuale, in particolare, citando Breton, possiede «quel meraviglioso potere di attingere a due realtà tra loro distanti ma senza uscire dal campo della nostra esperienza e far scoccare una scintilla dal loro accostamento».

Segue una parte relativa all’umorismo spontaneo che unisce le persone permettendo loro di scambiarsi esperienze convinzioni, attitudini, favorendo partecipazione ed empatia, come avevano già osservato numerosi filosofi. Chi non si è divertito sentendo una barzelletta mordace? - ma l'autore mette in guardia dagli eccessi di cattivo gusto che scadono nello sguaiato e nell'eccesso.

I capitoli sull’etica negativa e sull’etica positiva dell’umorismo, sono di particolare interesse. Morreall argomenta in favore di una concezione dell’umorismo come virtù morale confutando le accuse di insincerità, inutilità, irresponsabilità, edonismo e superficialità rivolte dalle morali classiche all’umorismo. Al contrario ridere di sé, guardare con distacco una realtà spesso assurda o paradossale favorisce la comprensione della vita. Chi sa ridere di sé è in grado di guardare con occhio attento ciò che lo circonda, sviluppa creatività e sa porsi in un atteggiamento anticonformista e costruttivo. L'autore concorda con l'affermazione di R. C. Roberts: «L'ironia sulle proprie fissazioni è la capacità di trascendere la propria persona, ma la capacità di trascendere la propria persona sta alla base del concetto di virtù morale nel senso pieno del termine».

Il riso liberatorio di Zarathustra o quello scanzonato di Mark Twain evidenziano il coraggio di affrontare la sofferenza, parte integrante della vita; l'umorismo definito da Kierkegaard come «gioia che ha sopraffatto il mondo», permette di cogliere le contraddizioni del vivere. Concludiamo con l'affermazione di Charlie Chaplin: «la vita è una tragedia, se la guardi da vicino, ma una commedia se la guardi da lontano».

 

[Silvana Castelli]

sabato 6 febbraio 2021

Tutti gli usi della terra diatomace: AGRICOLTURA, ANIMALI, SALUTE

 https://www.olivucci.it



Numerosi sono gli utilizzi in campo industriale delle terre diatomacee. Ma io mi fermo a quelli della terra diatomacea naturale, che non è calcinata come quella per usi industriali. La terra diatomacea calcinata è potenzialmente pericolosa e va utilizzata solo con le apposite protezioni.  La calcinazione è un processo di cottura ad alta temperatura che aumenta la superficie filtrante della terra diatomacea, però fonde il silicio di cui è il maggior componente chimico, e crea quarzite e cristobalite, che sono sostanze irritanti per le mucose. La terra diatomacea naturale, di cui si occupa questo articolo, è invece estratta dalla cava, macinata finemente e infine essiccata a una temperatura massima di 150°C.  Per questo resta nella sua forma amorfa, non diventa cristallina come quella calcinata, e non è pericolosa per la salute umana.

Io sono rimasto affascinato dalle potenzialità della farina fossile e ho provato a sperimentarla circa 3 anni fa. Innanzitutto ne ero interessato perché è molto efficace nella conservazione delle sementi, che è uno dei miei principali interessi. Già mi sarebbe bastato, poi ho imparato a usarla come principio attivo insetticida nell’orto. La prima volta che l’ho usata è stato su un piccolo formicaio nell’orto. Mi aspettavo che il formicaio si estinguesse. Invece l’effetto fu di dissuasione e il formicaio decise di spostarsi. Ricordo che con poche applicazioni se ne andò dall’orto. Poi la usai per proteggere l’orto da lumache e chiocciole: sparsa sul terreno lavorato allontana tutti i gastropodi con successo. Ho infine provato, e sto tuttora provando, la sua efficacia sugli insetti volanti, acari, afidi e cimici. Direi che su alcuni è molto efficace (afidi e acari), su altri ho visto efficacia ma resta a volte il problema di una ottimale applicazione.

Infine un altro, suo malgrado, sperimentatore è il mio cane Jo. Applicandogli sul pelo una piccola quantità quando lo spazzolo, lo proteggo da pulci e da zecche.

Perché abbia efficacia la terra diatomacea deve provenire da giacimenti di diatomee fossili di acqua dolce ed essere naturale, non calcinata. Inoltre il giacimento deve essere non più vecchio di 2 miliardi di anni. Se vista a un microscopio elettronico gli scheletri delle diatomee appaiono aguzzi e affilati e sono in grado di danneggiare l’esoscheletro degli insetti fino anche a farli morire. In ogni caso la sola presenza infastidisce gli insetti e li spinge ad andarsene. Questo effetto insetticida è basato quindi sulla capacità abrasiva della polvere, non sulla pericolosità chimica. Per questo motivo gli insetti non si sono mai assuefatti alla terra diatomacea che continua e continuerà ad essere efficace.

Può essere usata anche in casa, per allontanare le formiche o le cimici dei letti senza nessun pericolo per chi ci abita. Unica raccomandazione è di non inalare e di non farla entrare in contatto con occhi e mucose.

TERRA DIATOMACEA COS'E'? A COSA E' UTILE?

 https://www.rimedialternativi.it

Terra diatomacea di grado alimentare

Terra diatomacea di grado alimentare, cos’è, quali sono le sue proprietà, come si usa e le controindicazioni

La Terra Diatomacea, soprattutto di grado alimentare, è un rimedio ancora davvero poco conosciuto.

Simile, come forma, all’argilla, è composta principalmente da silice, ma contiene anche molti altri minerali.

silicati

PERCHÉ IL SILICIO E’ COSI’ IMPORTANTE PER L’ORGANISMO UMANO – SILICIO – Il silicio è un metalloide di colore blu-grigio fragile e di lucentezza metallica. Essendo un semiconduttore intrinseco, la conducibilità termica ed elettrica dipende dalla temperatura e dalla presenza di impurezze contenute nei cristalli del minerale. È l’elemento più abbondante sulla crosta terrestre dopo l’ossigeno, non si trova mai allo stato elementare ma combinato soprattutto sotto forma di silice e di silicati (in particolare il quarzo e il calcedonio), ed entra nella composizione di un grande numero di rocce eruttive, metamorfiche e sedimentarie. Il silicio organico reso biodisponibile in natura dalle piante come l’equiseto è famoso per le proprietà rigeneranti e rimineralizzanti. Non si concentra in nessun organo in particolare del corpo umano, ma si trova principalmente dentro i tessuti e negli organi connettivi.

La terra diatomacea di grado alimentare, cos’è

Ci sono due tipi di terra diatomacea, quella di grado alimentare e quella per uso esterno, per esempio viene usata per filtrare le acque delle piscine, oppure come insetticida non tossico.

Ci riferiamo, in questo caso, alla terra diatomacea di grado alimentare, che può essere assunta per via interna, come l’argilla.

La terra diatomacea viene chiamata anche farina fossile, sabbia di diatomee, diatomite o kieselgur ed è il residuo fossile di microscopiche alghe della famiglia delle diatomee, che vantano proprietà davvero interessanti.

Le diatomee sono composte principalmente di silice (biossido di silicio), che è uno dei minerali più abbondanti sul nostro pianeta, ma si presenta per lo più in una forma che non può essere assorbita dall’organismo umano.

salute

SILICE PER IL BENESSERE DELL’ORGANISMO – La silice è il minerale in traccia più importante per la salute umana: elemento strutturale del tessuto connettivo, è direttamente collegata con oltre 300 funzioni corporee, tra cui l’assorbimento dei minerali. Il corpo umano dovrebbe contenere circa 7 gr di silicio, quantità decisamente superiore rispetto a tutti gli altri minerali.  La silice è presente in buone quantità nel nostro organismo in età giovanile, ma si riduce progressivamente con l’età. Correlati alla diminuzione di silicio sono i segni dell’invecchiamento, il silicio infatti: abbassa la pressione sanguigna, riduce i livelli di colesterolo, i dolori articolari, lenisce infiammazioni o irritazioni cutanee, rinforza unghie e capelli e ne previene la perdita, aiuta nella prevenzione di carie dentali e di gengiviti. Anni fa la quantità di silice che si trovava nei nostri cibi era adeguata alle nostre necessità, ma oggi a causa dell’esaurimento del suolo, nei nostri cibi si trova solo un terzo circa della silice necessaria al nostro corpo.

La terra diatomacea, com’è e cosa contiene

La terra diatomacea contiene principalmente silicio, a seconda dei produttori dovrebbe contenere da un minimo dell’85% di silice organica al 94%.

terra diatomacea alimentare

COME SI PRESENTA LA TERRA DIATOMACEA DI GRADO ALIMENTARE – Non tutte le terre diatomacee sono uguali e vanno bene per il consumo umano. La terra diatomacea per uso alimentare dovrebbe presentarsi come una polvere finissima e di colore chiaro, altrimenti potrebbe essere stata calcinata.

Il silicio contenuto nella terra diatomacea è necessario per il buon funzionamento di tendini, cartilagine, vasi sanguigni, unghie, pelle e capelli, in combinazione col calcio rafforza le ossa, previene l’invecchiamento e riduce l’appetito.

Terra diatomacea di grado alimentare, le proprietà

La terra diatomacea ha una prima caratteristica, potremmo dire “fisica”, che cioè non dipende strettamente dalla sua composizione chimica, che è quella di essere una specie di “esfoliante naturale” per il canale digerente nella sua totalità.

intestino

PULIZIA DEL SISTEMA DIGERENTE – La terra diatomacea, passando nei canali digerenti è in grado di pulirli, attirando a sé parassiti, virus, batteri, residui di farmaci, metalli pesanti e pesticidi. La terra diatomacea viene espulsa con le feci portando con sé tutti questi materiali nocivi. Secondo diversi autori la presenza di metalli pesanti nell’organismo può essere causa di diverse patologie,per es. il morbo di Alzheimer potrebbe essere legato all’accumulo di alluminio nel cervello.

Inoltre, grazie alla presenza di silice biodisponibile e minerali, ha molte altre proprietà:

scheletro ossa

MIGLIORA LA SALUTE DELLE OSSA E DELLE CARTILAGINI – Le ossa sono composte principalmente da fosforo, magnesio e calcio, ma questi minerali, senza silice, non possono essere fissati nelle ossa. Gli studi confermano l’utilità del silicio per prevenire l’osteoporosi. La silice rinforza la salute di tutte le ossa e cartilagini: denti, unghie, articolazioni, ma anche pelle e capelli.

 

capelli

PER LA SALUTE DI PELLE E CAPELLI – Le rughe e i difetti alla pelle dipendono dal graduale degrado del tessuto connettivo.  Il collagene, che è composto principalmente di silice, è responsabile della resilienza e dell’elasticità della pelle. I nostri tessuti connettivi sono ricchi di silice, che sostiene la formazione di collagene, elastina, mucopolisaccaridi e muco carboidrati che aiutano nella ritenzione dell’umidità. La mancanza di collagene non è solo un problema estetico: anche la deformazione ossea e la mancanza di flessibilità di tendini e legamenti dipendono dalla sua carenza.

 

cuore salute circolazione

PER LA SALUTE DEL SISTEMA CARDIO-CIRCOLATORIO – La silice fortifica e rende elastici anche i vasi sanguigni. Gli studi confermano che l’indebolimento del tessuto connettivo dei più importanti vasi sanguigni causa  l’aumento del rischio di malattie cardiache. Secondo alcuni autori la terra diatomacea sarebbe in grado di legarsi ai grassi presenti nel tratto digestivo, riducendo il colesterolo e regolando la pressione sanguigna.

 

sistema immunitario

PER POTENZIARE IL SISTEMA IMMUNITARIO – La silice svolge un ruolo importante nel funzionamento del sistema immunitario: sostiene la produzione di anticorpi che combattono virus, batteri, allergeni.

 

pelle pura

PER USO ESTERNO – La terra diatomacea è seboassorbente e lenitiva, può essere usata anche per via esterna, come shampoo a secco, o anche al posto della cipria. La terra diatomacea, sempre di grado alimentare, può venire usata anche nell’ambiente, per esempio contro le formiche: distribuitela nelle zone dove sono solite passare le formiche o sopra i nidi.

 

pet therapy cane

TERRA DIATOMACEA PER LA SALUTE DEI NOSTRI AMICI ANIMALI – La terra diatomacea può avere tanti utilizzi anche per gli amici a quattro zampe: unita al loro cibo può rinforzare denti, ossa, pelo… aggiunta alla lettiera elimina gli odori. La terra diatomacea può essere usata anche come antiparassitario, riuscendo a controllare in maniera efficace gli acari, i vermi,ma anche le zecche e le pulci.

Terra diatomacea di grado alimentare, come usarla

La silice è solubile nell’acqua e ha un gusto neutro, viene quindi facilmente assunta sciolta in un bicchiere di acqua.

Non si accumula nel corpo, e quindi è importante un’integrazione giornaliera consistente.

Dose consigliata: ogni mattina è di 1 cucchiaino sciolto in acqua a temperatura ambiente.

Evitare bibite alcoliche o contenenti caffeina e acidi come succo di pompelmo, arance, limone e ananas.

Terra diatomacea di grado alimentare, le possibili controindicazioni

Studi scientifici non hanno riscontrato nessun effetto collaterale avverso derivante da un eccesso di silice. La sua sicurezza e la sua grande varietà di utilizzi fa della silice uno dei minerali più importanti utilizzati nelle terapie complementari e nella medicina alternativa.

La terra diatomacea può essere utilizzata da chiunque, ma come con qualsiasi altro integratore alimentare, è importante che vi sia l’ok del vostro medico di fiducia prima dell’utilizzo.

Se state assumendo farmaci la terra diatomacea potrebbe inibire il loro assorbimento, prima di assumerla parlatene con il vostro medico. Di regola, dopo l’assunzione di medicinali, si consiglia di rispettare un intervallo di tempo di almeno due ore prima di assumere la terra diatomacea

Le donne incinte e le donne che allattano possono utilizzarla solo sotto controllo medico.

La terra diatomacea è sconsigliata:

  • In caso di infiammazione del colon.
  • Come inalazione: evitare assolutamente di inalare la polvere.

 

PE LA MAIELL !

PE LA MAIELL !
LA MIA MAIELLA : REGINA MAESTOSA DELLA MIA TERRA !!! URLA STOP scie chimiche!!! Vasto (CH) Abruzzo Italia Europa Mondo 14 gennaio 2014 ore 15.00