La versione originale del liberalismo sosteneva che ogni persona aveva diritto alla propria vita, alle proprie libertà e alle proprie proprietà. Sosteneva, cioè, che gli uomini avessero il diritto di usare come volevano il frutto del proprio lavoro. Il diritto, almeno per logica e per i contenuti generali, preesisteva alla comunità politica, e la difesa del diritto era l'unico scopo dell'autorità politica.
Reinterpretiamo questo in termini di diritti positivi e negativi (non è la prima volta che lo scrivo, credo): un diritto negativo è un diritto a non subire qualcosa da qualcun altro, un diritto positivo è un diritto a qualcosa che richiede l'attiva partecipazione di qualcun altro.
Il diritto alla vita è un diritto negativo se si intende che uccidere è un crimine, diventa un diritto positivo se si intende che qualcuno ha l'obbligo giuridico di fare qualcosa per salvare la vita altrui. Si noti come il diritto negativo alla vita sia perfettamente definito, mentre il diritto positivo alla vita non abbia contenuti intrinseci, perché tutto sta nel definire cosa l'altro è obbligato a fare.
I diritti liberali sono diritti negativi, con poche eccezioni: l'eccezione fondamentale è che tutti i membri di un corpo politico hanno il dovere (obbligo giuridico) di sovvenzionare lo Stato per proteggere i diritti negativi di tutti gli altri membri. La sicurezza, cioè, è un diritto positivo, e il contenuto specifico del diritto positivo sono la polizia, le forze armate, i tribunali, e gli strumenti amministrativi e fiscali necessari a sostenere queste istituzioni.
Dire che il liberalismo non ha diritto positivi è quindi erroneo. L'anarcocapitalismo, coerentemente con i diritti lockeani, non ammette diritti positivi, ma in linea di massima, nonostante sia evidente il compromesso con i principi originali, tutti i liberali ritengono la sicurezza un diritto positivo.
Temperare con un compromesso pragmatico gli ideali normativi del liberalismo non rende quest'ultimo più incoerente di quanto la mancanza dei diritto di voto dei bambini rende incoerente l'ideale democratico. L'impossibilità della perfezione non ha mai impedito il progresso: la coerenza con dei principi astratti piace molto agli ideologi, ma non è una necessità logica e non implica dunque contraddizione.
Torniamo all'argomento principale. I diritti negativi tendono ad avere un contenuto chiaro perché non implicano alcun dovere o obbligo, ma solo divieti generali. Il diritto di proprietà nel liberalismo consente l'ordine sociale, perché si tratta di semplici regole generali che rendono possibile la coordinazione degli individui, cioè gli scambi, gli accordi, i contratti. Da queste semplici regole scaturisce l'ordine sociale.
Si deduce da questo un'altra caratteristica del diritto liberale: il diritto non è considerato un meccanismo per dare ordini e realizzare obbiettivi sociali, non è lo strumento di amministrazione di un esercito, e l'individuo non è un funzionario di una burocrazia. L'individuo è un agente con i propri fini e i propri mezzi, che ha bisogno di cooperare con gli altri agenti in un contesto di regole condivise (il rispetto dei diritti negativi fondamentali) in modo da generare l'ordine sociale esteso, di cui l'archetipo più puro è certamente il mercato, ma non è necessario che lo sia: il diritto regola la possibilità di fondare corpi intermedi, associazioni, fondazioni, famiglie, club.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con il labirinto di leggine e di regolamentazioni a cui ci hanno abituato i nostri parlamenti, che siccome ritengono la società una grande burocrazia, la amministrano con criteri amministrativi e pubblicistici, anziché limitarsi a regolare il quadro generale delle norme con cui gli individui interagiscono. La maggior parte delle politiche prendono un'altra forma: bisogna realizzare un certo obiettivo, e bisogna impartire determinati ordini.
Qui abbiamo un problema: con la fine del liberalismo, sia il diritto che i diritti hanno subito una mutazione. E, cosa affatto strana, questa mutazione è andata a beneficio della classe politica, che ha visto il suo controllo sociale estendersi a dismisura.
I diritti positivi sono corvèe: implicano obblighi da parte di terzi. Inoltre non hanno contenuti specifici: implicano leggi interpretative che specifichino questi obblighi. I diritti positivi sono eminentemente conflittuali, perché consentono ai beneficiari di ottenere prestazioni dagli altri, e perché queste rivendicazioni non sono predeterminate e tenute entro certi limiti, sono limitate soltanto dalla capacità di influenzare le politiche.
La politica dei diritti positivi degenera quindi in un bellum omnium contra omnes: non esistendo più principi generali che regolano i contenuti delle leggi, ogni pretesa avanzata con successo diventa una fonte di obblighi per qualcun altro, a volte senza che neanche se ne accorga (l'obbligo di servirsi di produttori nazionali sotto un regime protezionistico sfugge alla maggior parte dei consumatori, che normalmente non si accorgono nemmeno dei prezzi aumentati con cui sovvenzionano le lobby inefficienti protette).
Questa fonte di conflitti può degenerare in una guerra civile, e tutta la storia della prima metà del XX secolo ne è la prova: si rivendicava il diritto di espropriare chi aveva qualcosa, e di vivere a spese altrui grazie alla coercizione. Si rivendicava il diritto di escludere gli stranieri e i lavoratori non sindacalizzati dal mercato del lavoro. Si rivendicava il diritto di espropriare le case ed abitarci. Si rivendicava il diritto di espropriare i capitali e utilizzarli. Le guerre civili del secolo scorso sono tutte dovute a queste rivendicazioni sui frutti del lavoro altrui.
La soluzione al conflitto è che lo Stato funga da arbitro, che centellini e razioni i diritti positivi, che lasciati agli appetiti delle fazioni politiche distruggerebbero le fondamenta stesse della società. Nel suo ruolo di arbitro di questi appetiti, la classe politica assume un ruolo nuovo, che prima non aveva (o aveva in parte molto minore): non difendere dei diritti già esistenti, ma creare diritti, e dunque distruggere diritti. Come intermediario monopolista del conflitto sociale, lo Stato è in grado di guadagnare una rendita politica, e più l'ambito dei diritti positivi è oscuro (ed è per questo che i diritti negativi non consentono un analogo sviluppo del ruolo della classe politica), più il suo ruolo è fondamentale, pena il conflitto civile.
La società perde la sua capacità di organizzare i propri affari tra individui liberi, perché ora esiste lo strumento sistematico per vivere del lavoro altrui: è sufficiente organizzarsi politicamente per avanzare pretese credibili, e l'intermediario politico che fiuta l'affare avanzare la proposta e introdurrà una nuova forma di rent seeking.
In questa idealtipizzazione occorre fare alcune puntualizzazioni: i confini sono spesso netti in teoria, ma mai netti nella pratica. Aggiungo queste ultime note solo per evitare obiezioni irrilevanti.
1. Non è vero che il conflitto può esistere solo con i diritti positivi: non accettare un diritto negativo altrui è causa sufficiente di conflitto. I diritti positivi espandono a dismisura l'ambito della conflittualità.
2. Non è vero che la politica prima era tesa a difendere i diritti liberali e ora non più: la politica è sempre stata una cosa sporca. Solo che oggi non abbiamo strumenti di autodifesa dalla classe politica, che è diventata de facto onnipotente.
3. Non è vero che tutti i conflitti del XX secolo sono colpa delle rivendicazioni assurde dei socialisti: molta ricchezza e molto potere erano frutto di privilegi politici anche prima. Oggi, semplicemente, la situazione è peggiorata di diversi ordini di grandezza.
4. Non è vero che oggi esiste solo il diritto pubblico e non più quello privato: se fosse così, non sarebbe possibile il funzionamento del mercato, e saremmo già tutti morti di fame. Semplicemente, le forme più pubblicistiche del diritto hanno assunto un'importanza enorme rispetto a prima.
2. Non è vero che la politica prima era tesa a difendere i diritti liberali e ora non più: la politica è sempre stata una cosa sporca. Solo che oggi non abbiamo strumenti di autodifesa dalla classe politica, che è diventata de facto onnipotente.
3. Non è vero che tutti i conflitti del XX secolo sono colpa delle rivendicazioni assurde dei socialisti: molta ricchezza e molto potere erano frutto di privilegi politici anche prima. Oggi, semplicemente, la situazione è peggiorata di diversi ordini di grandezza.
4. Non è vero che oggi esiste solo il diritto pubblico e non più quello privato: se fosse così, non sarebbe possibile il funzionamento del mercato, e saremmo già tutti morti di fame. Semplicemente, le forme più pubblicistiche del diritto hanno assunto un'importanza enorme rispetto a prima.
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