Il tema dell’autodeterminazione dei popoli deve essere affrontato alla luce di questi concetti e di questi principi, tenendo soprattutto conto del fatto che il nuovo diritto internazionale dei diritti umani ha una ratio che è completamente diversa da quella del tradizionale diritto internazionale, che è un diritto essenzialmente interstatuale. L’Atto finale di Helsinki recepisce i principi di questo nuovo diritto - principi VII e VIII - e li pone in relazione con i principi del diritto interstatuale, in particolare con il diritto degli stati alla integrità territoriale. Questo “coordinamento”, per avere senso, deve essere effettuato sulla base dei seguenti principi:
1. primato dei diritti umani rispetto ai diritti degli stati: principio di jus cogens per l’implementazione dei diritti umani internazionalmente riconosciuti;
2. principio di soluzione pacifica delle controversie internazionali;
3. principio del divieto dell’uso della forza;
4. principio di cittadinanza planetaria;
5. principio di autorità internazionale;
6. principio di ingerenza attiva negli affari interni;
7. principio di sicurezza collettiva internazionale;
8. principio di democrazia, interna e internazionale;
9. principio di eguaglianza dei popoli.
Ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani, il soggetto titolare del diritto all’autodeterminazione è il popolo come soggetto distinto dallo stato. Ma in nessuna norma giuridica internazionale c’è la definizione di popolo. Questa reticenza concettuale non è dovuta al caso. Gli stati giocano sull’ambiguità, non essendo ancora disposti ad ammettere espressamente che i popoli hanno una propria soggettività internazionale. Per il concetto di popolo bisogna pertanto riferirsi a documenti ufficiali o semi-ufficiali privi di carattere giuridico. Un recente Rapporto dell’Unesco (Doc. SHS- 89/CONF. 602/7, Parigi, 22.02.1990) definisce il popolo come:
1. un gruppo di esseri umani che hanno in comune numerose o la totalità delle seguenti caratteristiche:
a. una tradizione storica comune;
b. una identità razziale o etnica;
c. una omogeneità culturale;
d. una identità linguistica;
e. affinità religiose o ideologiche;
f. legami territoriali;
g. una vita economica comune;
2. il gruppo, senza bisogno che sia numericamente considerevole (per es., popolazione dei micro stati), deve essere più che una semplice associazione di individui in seno ad uno stato;
3. il gruppo in quanto tale deve desiderare di essere identificato come un popolo o avere coscienza di essere un popolo -restando inteso che gruppi o membri di questi gruppi, pur condividendo le caratteristiche sopra indicate, possono non avere questa volontà o questa coscienza; e eventualmente
4. il gruppo deve avere istituzioni o altri mezzi per esprimere le proprie caratteristiche comuni e il suo desiderio di identità”.
H. Gros Espiell, uno dei maggiori esperti in materia, definisce popolo “qualsiasi particolare comunità umana unita dalla coscienza e dalla volontà di costituire una unità capace di agire in vista di un avvenire comune (...)”. Dunque, due sono gli elementi fondamentali che fanno un popolo e lo distinguono da altri tipi di comunità umane, quali le minoranze etniche, linguistiche o culturali e quelle comunità che nei documenti delle Nazioni Unite vengono denominate popolazioni autoctone: a) l’esistenza di un comune patrimonio culturale; b) l’esistenza di un comune progetto di futuro politico, la cui realizzazione comporti l’esercizio del diritto all’autodeterminazione.
http://unipd-centrodirittiumani.it/it/attivita/autodeterminazione-diritti-umani-e-diritti-dei-popoli-diritti-delle-minoranze-territori-transnazionali/187
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