La sociologa Riane Eisler ha indicato con il neologismo gilania - dalle parole greche gynè, "donna" e anèr, "uomo" (la lettera l tra i due ha il duplice significato di unione, dal verbo inglese to link, "unire" e dal verbo greco lyein o lyo che significa "sciogliere" o "liberare") - quella fase storica plurimillenaria (8.000-2500 a.c in rapporto soltanto al neolitico) fondata sull’eguaglianza dei sessi e sulla sostanziale assenza di gerarchia e autorità, di cui si conservano tracce tanto nelle comunità umane del Paleolitico superiore quanto in quelle agricole del Neolitico.
La Eisler quindi contesta duramente l'opinione dominante, particolarmente diffusa nella società occidentale « grazie » soprattutto all'opera di propaganda svolta dalla storiografia ufficiale, secondo cui gli esseri umani sarebbero sempre stati violenti proprio a causa di una loro intrinseca natura. Questo « assioma » si è sviluppato perché storici e antropologi hanno arbitrariamente collocato l’inizio della civilizzazione umana in un periodo dove la nascita e lo sviluppo del linguaggio scritto sono andati di pari passo alla diffusione della violenza e delle guerre [1].
Le società gilaniche
Gli studi di alcuni archeologi e storici - tra cui Marija Gimbutas, Riane Eisler ecc. - dimostrano che per buona parte della loro storia gli esseri umani hanno vissuto in comunità sostanzialmente pacifiche ed egualitarie all'incirca sino al 4000 e il 3000 a.c, tali ricerche potrebbero essere una possibile prova delle teorizzazioni elaborate dall'illuminista svizzero Jean-Jacques Rousseau, che aveva dato un' accezione positiva e non-corrotta dell'uomo primitivo. Come ampiamente dimostrato dai reperti ritrovati dagli archeologi [2], allorché una serie di grandi migrazioni [3] Indo-Europee dal sud della Russia e dall'Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia) verso l’Europa, avrebbero completamente distrutto le popolazioni locali. La Eisler, che ha dedicato gran parte dei suoi lavori proprio allo studio di queste antiche comunità, definisce come androcrazia - termine derivato dalle parole greche andros, "uomo" e kratos, "governato"- il sistema dominatore maschile importato dagli Indo-Europei (i Kurgan) che impose alcune forme di dominio come il patriarcato, la gerarchia, le classi sociali e l'autorità.Il paleolitico
Della civiltà gilanica, seppur con questo termine la Eisler si riferisca più propriamente alle società agricole del Neolitico, si ritrovano i primi segni sin da circa 40000 anni fa, cioè nell'epoca storica chiamata Paleolitico Superiore (30-10.000 a.c). Per Eisler e la Gimbutas i nostri antenati credevano in una Dèa che governava l’universo e che era fonte di unità universale, la quale sovveniva alle necessità materiali e spirituali degli umani, proteggeva i suoi bambini dalla morte riprendendoli nel suo ventre cosmico. Alcuni ritrovamenti, come quello celeberrimo della “venere di Willendorf” - una statuetta di 11 cm d'altezza, raffigurante una donna dai seni e fianchi prosperosi -, mostrano una straordinaria rassomiglianza tra queste figure femminili e quella che più specificamente viene chiamata Dea Madre [4], riconducibile più propriamente al Neolitico.L'etnologo, archeologo e antropologo francese André Leroi-Gourhan ha dimostrato, attraverso i suoi ritrovamenti e le sue ricerche comparative, che i popoli del paleolitico erano ben coscienti della «divisione del mondo animale ed umano in metà contrapposte»[5]. I "paleolitici" espressero forme religiose in cui figure e simboli femminili avevano un ruolo centrale rispetto a quello maschili, a dimostrazione dell'importanza che essi davano alla figura femminile. Infatti, tutti i ritrovamenti di Leroi-Gourhan - conchiglie a forma di vagina, l'ocra rossa delle sepolture, le statue di Venere, pitture rupestri, ecc.[6] - non erano per nulla da considerare "mostruosità" o espliciti riferimenti di erotismo maschile (come invece pensavano gli storici che ritenevano che nel mondo avesse sempre prevalso il modello androcentrico.[7]), bensì si riferivano ad una forma di culto in cui la donna aveva un ruolo fondamentale nella società in quanto donatrice di vita; in particolare la figura femminile era associata alle forze della vita e alla non violenza e le donne spesso erano rappresentate come dèe o sacerdotesse. Le centralità della donna e l'assenza nella società "primitiva" di violenza come fatto consuetudinario (contrariamente all'immagine che solitamente viene trasmessa del paleolitico, ovvero quello di una società violenta, rozza e maschilista), è dimostrato proprio dall'assenza nell'arte del paleolitico superiore di rappresentazioni di scene di violenza: non una raffigurazione di guerre, di eroi guerrieri, di armi utilizzate da umani contro altri umani. È rappresentato soprattutto quello che corrispondeva alla venerazione della vita: la donna, le piante e gli animali.
Il culto egualitario e non violento della Dea Madre o Grande Madre “dominò” quindi in Europa, nel Vicino e Medio Oriente (altre tracce sono state ritrovate anche in America e in Asia) almeno sin dal Paleolitico superiore e poi si diffuse ampiamente alle società neolitiche.
Il neolitico
L'abbondanza dei resti archeologici dell'epoca neolitica, assai più numerosi del Paleolitico Superiori (30-10.000 a.c), nonché un approccio interdisciplinare all'archeologia (non solo archeologi e storici presenti nei siti di scavo, ma anche biologi, geologi, sociologi, storici dell'arte, ecc.), ha permesso di rilevare una certa continuità tra l'uomo del paleolitico e quello del neolitico e di evidenziare l'incredibile evoluzione di questa civiltà, che era del tutto incentrata sul culto della Dea Madre.Società e religione
La scoperta e gli scavi dei siti neolitici di Catal Huyuk e Hacilar [8]nelle pianure dell'Anatolia (oggi Turchia), diretti da James Mellaart per conto del Britich Institute of Archaeology di Ankara, rivelarono una continuità storica tra la religione del Paleolitico Superiore e quella del Neolitico:
«La nuova brillante valutazione della religione del Paleolitico Superiore fatta da Leroi-Gourhan ha chiarito molti equivoci… l’interpretazione dell'arte del paleolitico superiore che ne consegue, incentrata sul tema di un complesso simbolismo femminile (sotto forma di animali e simboli), mostra forti somiglianze con le immagini religiose di Catal Huyuk» (James Mellaart citato da Riane Eisler in Il calice e la spada, pag 30).
Statuette raffiguranti la Dea Madre, del tutto simili a quelle ritrovate in Turchia, sono state ritrovate non solo nei celebri siti di Vinca (ex-Yugoslavia), Cucuteni (Romania), Gerico (Palestina), Cnosso (Creta) e Harappa e Mohenjo-Daro (valle dell'Indo) ma anche a Tell-e-Sawwan (Egitto) e Cayonu (Siria), a dimostrazione di come il culto della Dea fosse radicato non solo nell'Antica Europa ma anche in molte altre zone dell'Europa, dell'Africa e dell'Asia. Da evidenziare come nelle società gilaniche non esistesse la separazione tra sacro e profano: la religione era la vita e viceversa. Una religione fatta sicuramente anche di riti e divieti, ma in cui tuttavia l'essenza del tutto stava nel riconoscersi quale parte integrante della natura. Le sacerdotesse conducevano i riti religiosi ma molto spesso venivano accompagnate da sacerdoti che le coadiuvavano durante le celebrazioni, a dimostrazione di come il maschio non fosse discriminato rispetto alla donna.
Gli studi di Riane Eisler, incentrati sui risultati degli scavi archeologici diretti da Mellaart e sugli studi di Marija Gimbutas, stabilirono che le società neolitiche funzionavano sul culto della dèa non erano né matriarcali né patriarcali, ma basate sul modello del partenariato o gilania, modo di funzionamento assolutamente non violento ed egualitario. Queste società vivevano secondo un modello comunitario, attestato dalla loro architettura, e durante le cerimonie religiose, i cui costi erano a carico dell'intera comunità, i poveri e i deboli sedevano al centro, occupando quindi un posto d'onore. Inoltre i siti funerari non mostrano differenze sostanziali legate al sesso o alla condizione sociale, quindi non vi era nessuna rigida gerarchia sociale [9].
Quando queste società presero tecnologicamente a svilupparsi, è certo che queste innovazioni non furono utilizzate per creare disvalori o, meno ancora, per costruire armi. Nell'arte di queste società non compaiono descrizioni di armi, di guerre e di conquistatori. Non una traccia di schiavitù, di sacrifici umani, manifestazioni religiose a carattere fortemente dominante ecc. Non esistono tracce di fortificazioni militari: in queste società, le località d'abitazione non erano scelte in funzione della loro posizione strategica (vertice di una collina) bensì sulla base di criteri di bellezza del luogo, legati al mito del giardino dell’Eden, ancora molto presente.
Economia
Furono i gilanici i responsabili della cosiddetta rivoluzione agricola, ma senza che questo abbia generato schiavismo, gerarchizzazione, proprietà privata e dominio classista, come invece comunemente si crede [10]. Come scrive Marija Gimbutas, «ci sono libri ... che suggeriscono idee folli come per esempio che l' agricoltura e la guerra sarebbero cominciate allo stesso tempo. Dicono che quando i villaggi hanno iniziato a svilupparsi, la proprietà ha dovuto essere difesa, ma non ha senso! C'era la proprietà, ma era una proprietà comunitaria. Infatti, c'era una sorta di comunismo, nel migliore senso della parola. Non potrebbe esistere nel ventesimo secolo. Inoltre, credevano che tutti fossero uguali in relazione alla morte. Mi piace molto questa idea. Non sei nessuno, ne regina ne re, quando le tue ossa sono raccolte insieme ad altre ossa» [11]
La stessa Gimbutas descrive minuziosamente la fiorente attività agricola e commerciale delle società gilaniche:
Essi, inoltre, misero in atto anche una forma di scrittura primordiale e usarono rame ed oro per ornamenti ed attrezzi, a dimostrazione di una fiorente attività e di un'avanzata civiltà.
La fine delle società gilaniche
Le società gilaniche, in cui le necessità delle persone erano soddisfatte anche da un principio mutualismo, furono distrutte tra il 4000 e il 2500 a.c, da orde nomadi venute dal sud della Russia, i cosiddetti Kurgan. Queste popolazioni, come nota Marija Gimbutas, erano «governate da classi sacerdotali e guerriere che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra» [12] ed erano organizzate su base gerarchica e autoritaria, con una volontà di potere fortemente dominatrice e distruttrice, secondo cui le persone soddisfacevano i propri bisogni anche facendo ricorso alla minaccia fisica e all'uso della violenza.
In questo modo, violentemente, sorse la civilizzazione del dominio che sostituì quella fondata sul parternariato o gilania, portando alla nascita del patriarcato, delle classi sociali ed anche, attraverso un lunghissimo processo storico che ebbe inizio proprio in quella fase storica, di quegli apparati di dominio che ebbero il loro culmine nello Stato.
Esempi di civiltà gilaniche
I contributi maggiori per una migliore descrizione dell'organizzazione sociale del neolitico sono venuti dai reperti ritrovati a Çatal Hüyük e Hacilar (nell'attuale Turchia), Vinca (ex-Yugoslavia), Cucuteni (Romania), Gerico (Palestina), Cnosso (Creta), Harappa e Mohenjo-Daro nella valle dell'Indo. Numerose tracce di queste società si trovano anche in altri luoghi dell’Asia minore, Asia orientale (cultura Yomon in Giappone) e meridionale, nel Vicino e Medio Oriente, Europa e America.Il sito archeologico di Çatal Hüyük fu scoperto alla fine degli anni Cinquanta. L’archeologo James Mellaart condusse una serie di campagne di scavi tra il 1961 ed il 1965, interrotte poi fino al 1993, che portarono alla luce una vera e propria città (fondata intorno al 7000 a.c). Numerosi sono stati i ritrovamenti di sculture e disegni raffiguranti figure femminili e la stessa Dea Madre [13].
In particolare, una delle caratteristiche più sorprendenti di Çatal Hüyük e Hacilar è stata la loro stabilità politica, durata diverse migliaia di anni, che suggerisce, senza alcun dubbio, che dovesse regnare il principio della non violenza. Qui si sviluppò un'economia agraria con un commercio fiorente, una pianificazione urbana particolarmente ordinata e uno sviluppo considerevole nei settori delle arti, della religione e della cultura.
A Cnosso (Creta) i numerosissimi reperti ritrovati, quali ceramiche, sculture e affreschi, dimostrano che l’isola cretese godeva di una buona floridezza economica, nonostante le asperità climatiche e territoriali dell’isola. I cittadini, comprese le donne – sempre rappresentate in vestiti eleganti oppure come sacerdotesse o comunque in posizioni di rilievo – godevano di una grande libertà e autonomia.
Quando si parla di Creta si pensa al re Minosse e quindi alla civiltà minoica, attributo che sembra sia stato appositamente concepito allo scopo di negare il suo carattere gilanico. Creta invece fu l'ultimo baluardo delle società gilaniche: già nel XVI secolo a.c nell'isola vengono introdotte nuove armi (scudi, spade, corazze ecc.), prima di allora sconosciute, indicative della percezione di nuove preoccupazioni militari prima d'allora inesistenti. Infatti, intorno al 1450 a.c i fastosi palazzi cretesi furono distrutti e mai più ricostruiti, come invece accadde intorno al 1650 a.c, quando il palazzo di Crosso crollò probabilmente a causa di un devastante terremoto. Ciò indicherebbe l'invasione ad opera di un popolo, probabilmente i Kurgan, - violento, rozzo e guerriero –, che già parecchie centinaia d’anni prima aveva attaccato altre popolazioni europee, risparmiando però l’isola di Creta, probabilmente per il semplice fatto che non conoscevano l'arte navale.
La cultura di Vinca era ubicata a circa 20 km ad est di Belgrado (capitale dell’attuale Serbia). Gli scavi del Prof. Vasic, tra il 1908 e il 1932, collocarono inizialmente questa civiltà intorno al II millennio a.c, poiché si riteneva che una società così avanzata non potesse essere troppo antica. Successivamente i metodi di datazione moderna (dendrologia e radiocarbonio) dimostrarono che la cultura di Vinca è collocabile tra il 5300 e il 4000 a.c.
La vita a Vinca era incentrata sul culto della Dèa Madre e sull’uguaglianza sociale. Il livello tecnologico avanzato è inoltre attestato dalla scoperta delle cosiddette tavolette di Tartara, in cui sono presenti dei segni assimilabili ad una scrittura rudimentale (altre ne sono state ritrovate a Tisza e Karanovo), probabilmente la prima vera forma di scrittura dell’umanità [14].
La mostra tenuta a Roma nel settembre/ottobre 2008 sulla cultura pre-indoeuropea di Cucuteni-Trypillia conferma l'ipotesi di Marija Gimbutas sul carattere pacifico, sulla struttura sociale egalitaria e sull'importanza del ruolo femminile di questa cultura dell'Europa Antica. La documentazione della mostra, curata dal Ministero della cultura e degli affari religiosi di Romania nonché dal Ministero della cultura e del turismo di Ucraina, dice a pag.40:
Intorno al 2500 a.c, nei pressi della foce del fiume Indo, prendeva forma una vera e propria civiltà urbana molto evoluta e in grado anche di utilizzare la scrittura. La vita si dipanava intorno alla figura della Dea Madre, le due città maggiori, Harappa e Mohenjo Daro, erano fabbricate seguendo tecniche all’avanguardia: le case erano costruite mediante mattoni cotti, sotto le strade scorrevano le fognature, vi erano grandi silos che contenevano i cereali ecc. L’economia si basava essenzialmente sull’agricoltura: si coltivavano prevalentemente cereali (grano e orzo) ma anche cotone, utilizzato prevalentemente come mezzo di scambio.
La civiltà dell’Indo crollò intorno al 1550 a.c a causa delle solite invasioni ad opera dei popoli giunti dalla Russia del sud: i Kurgan.
Il lascito storico delle società gilaniche
Il cardine su cui ruota tutta la storiografia ufficiale è che la storia proceda linearmente e progressivamente, dalle civiltà meno evolute a quelle più evolute. L’autorità, la gerarchia e lo Stato non sarebbero altro che l’inevitabile risultato di questo presunto percorso evolutivo. Implicitamente si lascia intendere che questi siano elementi necessari per la creazione di una civiltà evoluta, pena il ritorno ad uno stadio primitivo e barbaro.
Le società gilaniche dimostrano la falsità di questo “principio” storico. Prima di tutto queste erano comunità organizzate, complesse ed evolute, almeno relativamente all’epoca, ma con una una sostanziale assenza di gerarchia e di qualsiasi forma di dominio. Quindi, è storicamente falso che l’organizzazione sociale necessiti di un’autorità governativa.
Il secondo aspetto riguarda coloro che soppiantarono i “gilanici”, cioè i Kurgan. Questi erano un popolo notevolmente rozzo, violento e con aspetti culturali e artistici chiaramente inferiori alle società gilaniche, tuttavia erano strutturati in una rigida gerarchia classista e sessista. Questo porta nuovamente ad evidenziare che la storia procede tutt’altro che linearmente; quando i Kurgan soppiantarono la gilania, la storia ha fatto un passo indietro, passando da una civiltà evoluta ed egualitaria ad una meno evoluta tuttavia, organizzata gerarchicamente.
Alcuni elementi tipici della "cultura gilanica" non scomparvero del tutto nei territori europei che avevano subito le influenze di questa civiltà libertaria, basterebbe pensare, tanto per fare un esempio, alle comunità di villaggio (mir) russe dell'800, su cui molti grandi pensatori socialisti russi, soprattutto i cosiddetti populisti specularono non poco avendo a disposizione molti testi di ricerca storica editi nel XIX secolo (von Haxthausen, von Mamer), oggi del tutto dimenticati.
Si può quindi affermare che, non solo è possibile concepire una società egualitaria, diversa da quella attuale, ma che questo modello sociale è già esistito! E' esistito per buona parte della storia dell'umanità e le sue tracce sono giunte indelebili sino ad oggi.
Nessun commento:
Posta un commento