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venerdì 9 agosto 2024

1860, QUANDO IL SUD ITALIA ERA PIU' INDUSTRIALIZZATO DEL NORD EUROPA

 



Le regioni più industrializzate d’ Italia, prima del 1860, erano la Campania, la Calabria e la Puglia: per i livelli di industrializzazione le Due Sicilie si collocavano ai primi posti in Europa.
In Calabria erano famose le acciaierie di Mongiana, con due altiforni per la ghisa, due forni Wilkinson per il ferro e sei raffinerie, occupava 2.500 operai.
L’industria decentrata della seta occupava oltre 3.000 persone.
La piu’ grande fabbrica metalmeccanica del Regno era quella di Pietrarsa, (fra Napoli e Portici), con oltre 1200 addetti: un record per l’Italia di allora.
Dietro Pietrarsa c’era l’Ansaldo di Genova, con 400 operai.
Lo stabilimento napoletano produceva macchine a vapore, locomotive, motori navali, precedendo di 44 anni la Breda e la Fiat.
A
Castellammare di Stabia, dalla fine del XVIII secolo, operavano i cantieri navali più importanti e tecnologicamente avanzati d’Italia.
In questo cantiere fu allestita la prima nave a vapore, il Real Ferdinando, 4 anni prima della prima nave a vapore inglese.
Da Castellammare uscirono la prima nave a elica d’ Italia e la prima nave in ferro. La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione.
L’ Abruzzo era importante per le cartiere (forti anche quelle del Basso Lazio e della Penisola Amalfitana), la fabbricazione delle lame e le industrie tessili.
La Sicilia esportava zolfo, preziosissimo allora, specie nella provincia di Caltanissetta, all’ epoca una delle città più ricche e industrializzate d’ Italia. In Sicilia c’erano porti commerciali da cui partivano navi per tutto il mondo, Stati Uniti ed Americhe specialmente. Importante, infine era l’ industria chimica della Sicilia che produceva tutti i componenti e i materiali sintetici conosciuti allora, acidi, vernici, vetro.
Puglia e Basilicata erano importanti per i lanifici e le industrie tessili, molte delle quali gia’ motorizzate. La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione.
Le macchine agricole pugliesi erano considerate fra le migliori d’Europa. La Borsa più importante del regno era, infine, quella di Bari.
Una volta occupate le Due Sicilie, il governo di Torino iniziò lo smantellamento "cinico e sistematico" del tessuto industriale di quelle che erano divenute le “province meridionali”. Pietrarsa (dove nel 1862 i bersaglieri compirono un sanguinoso eccidio di operai per difendere le pretese del padrone privato cui fu affidata la fabbrica) fu condannata a un inarrestabile declino.
Nei cantieri di Castellammare furono licenziati in tronco 400 operai.
Le acciaierie di Mongiana furono rapidamente chiuse, mentre la Ferdinandea di Stilo (con ben 5000 ettari di boschi circostanti) fu venduta per pochi soldi a un "colonnello garibaldino", giunto in Calabria al seguito dei “liberatori”. 

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venerdì 26 gennaio 2024

IL PROBLEMA DEL RAPPORTO FRA DIRITTO NATURALE E DIRITTO POSITIVO


Lezione Diritto pubblico comparato prof. Giuseppe Barone 

IL PROBLEMA DEL RAPPORTTO FRA DIRITTO NATURALE  E DIRITTO POSITIVO

La più antica classificazione del diritto ( e forse anche la più densa di profili critici) è quella che da sempre vede contrapposti il diritto naturale al diritto positivo.

Per diritto naturale si intende quell’insieme di precetti, di norme, che, per usare un’espressione particolare, “ sta scritto nel cuore degli uomini”; uno statuto giuridico, cioè, che, a prescindere dalla sua formulazione espressa nell’ordinamento, la collettività dei consociati sente indubitabilmente proprio.[1]

Storicamente il diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà rappresentano il nucleo minimo del diritto naturale[2], unitamente al diritto al nome, all’identità personale e alla famiglia.

Di contro, il diritto positivo consiste nell’insieme delle norme “vigenti”, di quei precetti, cioè, che in un dato momento storico rappresentano l’ordinamento giuridico di uno Stato.[3]

Se da un lato, dunque, la fonte del diritto positivo è l’Autorità del Potere Pubblico ( lo Stato), il diritto naturale trova la sua legittimazione in una serie di concezioni filosofiche e politiche che precedono la fondazione stessa dello Stato.[4]

Per questa ragione il diritto naturale è canone valutativo del diritto positivo, della sua giustezza, della sua equità ed, infine, della sua “ legittimità”.[5]

Nello moderno Stato democratico il diritto positivo è espressione, sebbene indiretta, della volontà della maggioranza che non sempre, tuttavia è conforme ai canoni del diritto naturale o della giustizia comunque intesa.[6]

Il rapporto dialettico fra diritto naturale e diritto positivo è stato sempre presente nella storia del diritto, ma se si volesse citare un episodio relativamente recente all’interno del quale tale rapporto è emerso in tutta la sua importanza e drammaticità si potrebbe fare riferimento al processo di Norimberga.[7]

In quell’occasione la contrapposizione di cui parliamo fù rappresentata da un lato dalla difesa degli imputati che reclamò l’innocenza degli stessi per il fatto di avere, questi ultimi, semplicemente dato seguito ad ordini e norme “ formalmente” legittimi; dall’altro l’accusa dei rappresentati delle potenze vincitrici replicò imputando ai gerarchi nazisti la violazione dei principi fondamentali del diritto naturale, principi che andavano rispettati quali che fossero gli ordini ricevuti o le disposizioni normative che ad essi si rivolgevano.

L’ordinamento giuridico della Germania Nazista era formalmente valido ed efficace ma ingiusto ed illegittimo perché violava i canoni più elementari della convivenza fra gli uomini, cioè, il diritto naturale.[8]

Ciò detto, è opportuno ora attardarsi su un’altra riflessione relativa alla presunta immutabilità del diritto naturale.

Dopo aver fornito più sopra una sintetica definizione del diritto naturale, dobbiamo chiederci se esso sia immutabile e quindi rimanga uguale pur nel cambiamento continuo della società, dei suoi costumi, dei suoi valori e del suo stesso diritto positivo.

Immutabilità del diritto naturale

 
Secondo alcuni autori il diritto naturale è costituito da una quantità minima di principi che come tali costituiscono il fondamento soltanto di alcuni diritti fondamentali, cosiddetti in buona parte di prima generazione.

In questo senso si può affermare che almeno tendenzialmente il diritto naturale è immutabile, quanto alle sue affermazioni di principio ( diritto alla vita, al nome, alla famiglia), ma i principi stessi pur se immutabili, possono riempirsi e specificarsi a seconda delle epoche storiche.

Si tratterebbe, cioè, di un “sistema chiuso” di principi talmente fecondo, tuttavia, e ricco di potenzialità da consentire agli interpreti ( i giuristi ) di ricavare da esso “ corollari” sempre nuovi in grado di adattare il diritto naturale alle nuove esigenze della società.[9]

Non vi è dubbio, infatti, che l’evoluzione sociale unitamente al progresso scientifico e tecnico mettono in evidenza problemi e questioni sempre nuove e di non facile soluzione.

Si pensi, ad esempio, alle questioni relative alla famiglia di fatto o all’eutanasia o, ancora, a tutte le problematiche legate alla bioetica quali la fecondazione artificiale, la famiglia monogamica, ecc..

Si può, quindi, affermare che la disciplina più specifica dei diritti fondamentali che promanano dal diritto naturale, pur atteggiandosi in maniera diversa nei vari momenti storici e nei vari ordinamenti va valutata come coerente e compatibile con il diritto naturale, il quale, invece, non può dirsi giustamente “attualizzato” allorché le norme del diritto positivo ne ledono il contenuto fondamentale.

Diritti fondamentali

 
Emerge, così ed in definitiva, che il nucleo fondamentale del diritto naturale rappresenta i c.d. diritti fondamentali di prima generazione; di contro, i corollari che da esso l’interprete trae per far fronte all’evoluzione sociale costituirebbero i diritti naturali di seconda e fin’anche di terza generazione.[10]

Questa impostazione, consente, peraltro, di porre argine ad un fenomeno singolare, quello per il quale l’elenco dei diritti c.d. fondamentali non avrebbe, di recente, più limiti e consentirebbe l’immissione al suo interno di qualsiasi, spesso anche generica, pretesa.[11]

La suddivisione, invece, fra diritti fondamentali di prima e di seconda generazione consente di non smarrire la giusta rilevanza da dare al nucleo fondamentale del diritto naturale, il quale, in conclusione, è l’ancoraggio di alcuni ma non di tutti i diritti fondamentali.

La connotazione di tale categoria di diritti consiste nel rappresentare il minimo comune denominatore attorno al quale si fonda una società; si tratta, cioè, di quei principi che stanno a fondamento comune della coesistenza umana, sono le clausole imprescindibili del contratto sociale.

Con ciò non si vuol dire che non possono definirsi come “fondamentali” altri diritti che saranno meglio esaminati più avanti quali il diritto alla salute o il diritto allo studio e poi ancora il diritto all’identità sessuale ecc…In questi casi però la definizione di tali diritti come fondamentali non si ricollega al diritto naturale, ma alle nuove basi su cui si regge la società moderna.

Essi sono, quindi fondamentali per la realizzazione dello sviluppo della persona in consonanza con i valori e le aspettative della società in un dato momento storico. Ma sarebbe certo quanto meno eccessivo affermare che il diritto ad una buona amministrazione abbia la sue basi nel diritto naturale, giacché piuttosto il riferimento ( il fondamento) di tale diritto si rinviene nel debito che ha lo Stato verso il cittadino di usare al meglio le risorse che gli provengono dall’imposizione fiscale.

 

 

 

 

 


SEGUE: IL RAPPORTO TRA DIRITTO NATURALE E COSTITUZIONI

In generale si può affermare che il diritto è una pretesa che un soggetto vuol far valere nei confronti di un altro o nei confronti di un bene.

Per ciò che attiene i diritti naturali e  quelli fondamentali in particolare vi è da dire che essi storicamente si sono affermati nel corso della lunga evoluzione del rapporto fra Autorità e Libertà, cioè, fra i singoli (più tardi cittadini) ed il Potere Pubblico.

Il percorso, infatti, dallo Stato feudale, attraverso l’assolutismo, fino alle moderne democrazie è caratterizzato dal progressivo “riconoscimento” dei diritti naturali dell’uomo e del cittadino.

La stessa fase del c.d. Costituzionalismo si contraddistingue per la richiesta da parte dei movimenti nazionali di carte costituzionali che arginassero il potere ab – solutus ( sciolto da ogni vincolo) dei monarchi così che il monarca ed il suo governo fossero soggetti alla legge e non potessero violare alcuni diritti fondamentali riconosciuti dalla Cost. stessa.[12]

Oggi, tutte le costituzioni delle più avanzate democrazie “ riconoscono” i diritti fondamentali dei cittadini.

Nell’uso del verbo “ riconoscere” si conferma l’implicita ammissione di diritti che preesistono alla costituzione stessa dell’ordinamento.

Riconoscimento  dei diritti nell’art. 2 della Costituzione

 
 Tra di esse la Costituzione Italiana, la quale all’art. 2 cosi recita: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Così che può affermarsi che i diritti inviolabili dell’uomo esistono già prima della costituzione della Res – Pubblica (cioè del complesso dei soggetti pubblici e privati che agiscono nell’ordinamento), e l’Autorità si limita, per così dire, al loro riconoscimento e non  già alla loro  creazione; il che equivale ad affermare che lo statuto giuridico  dell’individuo con il suo carico di autonomia, libertà, uguaglianza e dignità è meritevole di tutela indipendentemente e nonostante la volontà del Potere Pubblico, che può stabilire la misura di quella tutela nei limiti in cui non ne intacchi il nucleo fondamentale.[13]

Emerge, inoltre, che, almeno in prima battuta, l’inviolabilità del diritto si pone nei confronti della Repubblica o altrimenti detto nei confronti dell’Autorità; il contro altare del diritto fondamentale è, quindi, il soggetto che detiene il potere, cioè, colui che ha gli strumenti coattivi per far valere le proprie pretese.

Si vede, allora, come attraverso la nostra Costituzione si possa individuare il percorso storico sopra richiamato.

A ciò si aggiunga che la Costituzione tutela l’uomo non solo nella sua individualità, ma, altresì, nelle formazioni sociali in cui si estrinseca la sua personalità ( famiglia, partiti politici, confessioni religiose ecc).

Catalogo aperto

 
Si pone a questo punto la domanda se i diritti inviolabili, di cui si parla nell’art.2 della Costituzione siano solo quelli elencati nella Costituzione stessa o se l’espressione ricomprenda ulteriori diritti oltre quelli elencati nel testo stesso.

In verità si è ritenuto – e a ragione – che l’art.2, nel fare riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo, abbia inteso riferirsi non già solo a quelli espressamente elencati negli articoli seguenti ma a tutti i diritti che la coscienza sociale e le indicazioni stesse dell’ordinamento inducono a ritenere meritevole dell’aggettivo inviolabili, tali cioè che si contrappongono all’emanazione di qualunque atto autoritativo ( leggi, provvedimenti, sentenze) che tendesse ad intaccarne il nucleo fondamentale.

L’art. 2 della Costituzione, dunque, depone per l’esistenza di diritti inviolabili ulteriori rispetto a quelli individuati nella Costituzione; esso cioè può considerarsi un catalogo aperto all’ingresso di nuove situazioni soggettive, che, in forza dell’ingresso stesso, acquistano la qualifica di inviolabili.

L’art.2 della Costituzione, dunque, è una norma di chiusura che funge da garanzia costituzionale per i nuovi diritti che emergono dall’evoluzione della società.[14]

Il catalogo di cui parliamo è stato poi ampliato dalla Corte Costituzionale Italiana e dallo stesso legislatore che hanno, in più occasioni, fornito così tutela legislativa e costituzionale ad un non limitato numero di pretese.[15]

Si pensi a titolo d’esempio, da un lato all’introduzione del diritto all’identità sessuale ( legge 164/82), e dall’altro al riconoscimento del diritto all’abitazione come diritto inviolabile ( Corte Cost. sent. N. 559/89), al diritto del minore ad essere inserito in una famiglia ( corte cost. sent. 183/1988), al diritto degli inabili all’accompagnamento ( corte cost. sent. 346/1989), al diritto alla privacy ( corte cost. sent. 139/1990), al diritto ad abbandonare il proprio paese ( corte cost. sent. 278/92).

Vi è da aggiungere, a quanto sin qui detto, che il riconoscimento dei diritti inviolabili a livello costituzionale comporta l’illegittimità di qualsiasi legge che violasse i predetti diritti di tal che anche il potere supremo ( il legislatore) è vincolato.

In una prospettiva comparatista risulta interessante, ora, dare uno sguardo al contenuto di alcune Costituzioni dei Paesi occidentali al fine di verificare l’esistenza nella carte fondamentali del richiamo al diritto naturale e/o ai diritti fondamentali dell’uomo.

Cominciamo della Costituzione Francese e dell’annessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.[16]

La Costituzione d’oltralpe all’art 2 della predetta Dichiarazione recita che: “Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”.

L’art. 1 della Costituzione della Repubblica Federale Tedesca ( Grundgesetz)[17] è espressamente dedicato ai diritti fondamentali: “La dignità dell’uomo è intangibile. E’ dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla. Il popolo tedesco riconosce quindi gli inviolabili ed inalienabili diritti dell’uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo. I seguenti diritti fondamentali vincolano la legislazione, il potere esecutivo e la giurisdizione come diritto immediatamente valido”.  

Nella Costituzione del Regno di Spagna[18] il Titolo I, rubricato “ diritti e doveri fondamentali”, contiene l’art. 10 che così dispone: “La dignità della persona, i diritti inviolabili ad essa inerenti, il libero sviluppo della personalità, il rispetto della legge e dei diritti altrui sono il fondamento dell’ordine politico e della pace sociale. Le norme relative ai diritti fondamentali e alle libertà che la Costituzione riconosce si dovranno interpretare secondo la Dichiarazione  Universale dei diritti dell’uomo ei trattati ed accordi internazionali che in materia abbia ratificato la Spagna”

Si conferma, dunque, che anche altri ordinamenti richiamano espressamente l’esistenza dei diritti naturali e dei diritti fondamentali, diritti, gli uni e gli altri che preesistono alla costituzione dello Stato e che sono da questo tutelati.

 

 

 

 

 

 

DALLO STATO LIBERALE ALLO STATO SOCIALE: DAI DIRITTI DI LIBERTA’ AI  DIRITTI POLITICI E SOCIALI

 

Il rapporto fra potere Pubblico ed cittadino può articolarsi secondo diversi paradigmi ognuno dei quali individua differenti ruoli e funzioni dell’uno ed altrettante diverse pretese dell’altro.

Storicamente il primo archetipo di rapporti si è fondato sullo svolgimento da parte dello Stato di un limitato numero di funzioni alle quali corrispondevano i più ampi margini di libertà per il cittadino; lo Stato liberale, infatti, ha avuto il compito di svolgere le mansioni fondamentali che assicurassero il mantenimento della convivenza sociale e nulla di più.

Fra questi compiti rientrano l’amministrazione della giustizia, il governo della moneta, la politica estera ed il mantenimento dell’ordine interno per il tramite della funzione di polizia.

Tutto il resto, nella concezione dello Stato liberale, è lasciato al libero gioco del mercato, all’incontro, cioè, delle volontà dei singoli i quali, dunque, chiedono allo Stato semplicemente di astenersi dall’interferire nelle attività private.

Vi è da dire che questo schema teorico non si è mai calato nei termini predetti nell’ambito dell’ordinamento, giacché non era neppure interesse della classe borghese dominante che tutto restasse affidato al libero gioco del mercato, cioè all’incontro della domanda e dell’offerta.

La borghesia liberale richiedeva – seppur in maniera limitata – che lo Stato assumesse su di se alcuni compiti ulteriori rispetto a quelli prima elencati, compiti ulteriori il cui assorbimento risultava utile al mercato cioè al commercio ed agli scambi.

Basterà ricordare tutto il settore dei lavori pubblici e più esattamente il sistema viario e dei trasporti che restava nella mani dello Stato.

Mai quella borghesia pensò di fare le strade a proprie spese e men che mai i porti o le nascenti ferrovie.[19]

Coerentemente con l’idea che si aveva dei compiti dello Stato, nell’ordinamento liberale trovavano ampio spazio i diritti di libertà ovvero i diritti civili e, ad una certa distanza da essi, i diritti politici. Scarso rilievo avevano, invece, i diritti sociali.

I diritti di libertà si distinguevano e si distinguono per il loro contenuto “negativo”. Si intende dire che la pretesa che il titolare di un diritto civile di libertà faceva valere ( e fa valere oggi) nei confronti del potere pubblico era nel senso che quest’ultimo si astenesse dall’interferire con il diritto stesso di libertà.

Meno interventi faceva ( e fa ) lo Stato più il diritto di libertà trovava ( e trova) la sua celebrazione, in quanto il titolare del diritto lo utilizzava e ne godeva nei modi che riteneva ( e ritiene ) più opportuni.

Diritti di Libertà

 
Allo Stato liberale, dunque, corrispondono i diritti di libertà, a contenuto prevalentemente negativo. Ciò vuol dire che la loro soddisfazione si realizza in forza dell’astensione del potere pubblico da ogni intervento e la cui tutela rientra, invece, fra i compiti dello Stato ( amministrazione della giustizia).[20]

I diritti di libertà sono facilmente giustiziabili atteso che la cessazione della loro violazione consiste nell’interruzione della condotta interferente o limitativa dello Stato, interruzione che viene ordinata dal giudice adito.

A partire dalla fine della prima guerra mondiale, invece, le pretese dei cittadini rivolte all’indirizzo dello Stato sono cresciute sino ad assumere dimensioni veramente considerevoli.

Al potere pubblico, cioè, non è stato più chiesto di astenersi dall’intervenire nell’ordinario svolgimento della vita sociale, ma, all’opposto, è stato demandato di fornire al cittadino una variegata quantità di prestazioni.[21]

Diritti Sociali

 
  Allo Stato erogatore di bene e servizi, lo Stato sociale o Welfare State, corrispondono i diritti sociali, diritti a contenuto pretensivo il cui nucleo fondamentale è rappresentato da una richiesta del cittadino allo Stato a che quest’ultimo soddisfi i suoi bisogni.

Se i diritti civili di libertà, dunque, sono diritti a porre in essere le più diverse condotte da parte dei privati, i diritti sociali sono, invece, diritti ad ottenere beni e servizi dallo Stato.

Occorre specificare, tuttavia, che i diritti sociali si reggono sul principio di solidarietà in forza del quale lo Stato opera la redistribuzione della ricchezza. Essi, allora, sono più che mai soggetti al bilanciamento con le disponibilità finanziarie e con i limiti dell’organizzazione pubblica.

Per il tramite della tassazione ( necessariamente elevata in tutti gli Stati sociali) il potere pubblico, infatti, sia esso centrale o locale, appronta l’insieme delle strutture e degli apparati necessari alla fornitura dei beni ed all’erogazione dei servizi ai cittadini.

E’ evidente, dunque, che il problema dello Stato sociale si risolve, almeno in prima battuta, nel problema della qualità dei servizi che esso eroga alla collettività, atteso che la legittimazione sociale dello stesso passa attraverso la più ampia ed efficiente soddisfazione dei bisogni individuali.[22]

Ciò, inoltre, refluisce sulla giustiziabilità dei diritti sociali atteso che, diversamente da quanto accade per i diritti di libertà negative, è difficile per il giudice assicurare la soddisfazione dell’interesse pretensivo vantato dal singolo, interesse che per essere tutelato necessità dell’approntamento di mezzi e strutture pubbliche.[23].

Si è detto che lo Stato sociale ed i corrispondenti diritti si reggono sul principio di solidarietà fra i cittadini; tale principio è costituzionalmente sancito nella nostra Carta fondamentale all’art. 2 dove si legge che “ La Repubblica…….richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” [24]

Sembrerebbe, dunque, che lo Stato Italiano non possa che essere uno Stato sociale attesa l’inderogabilità dei doveri di solidarietà economica e sociale.

Tale conclusione è, peraltro, avvalorata dal fatto che la Costituzione attribuisce ai cittadini numerosi diritti pretensivi quali il diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione, imponendo, dunque, alla Repubblica di adoperarsi per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.[25]  

Non si può omettere, tuttavia, di riflettere sull’eccessiva inflazione delle pretese rivolte all’indirizzo dello Stato  da parte dei cittadini e sulla conseguente perdita di reale significato dei diritti sociali; sembrerebbe addirittura, ormai, difficile trovare un bisogno del cittadino di fronte al quale lo Stato resti indifferente.

Dal dovere dello Stato ad erogare quanti più servizi per la soddisfazione dei cittadini discende il correlativo diritto alla buona amministrazione; si tratta di un diritto fondamentale che si sostanzia in un impiego corretto e utile delle risorse finanziarie (di recente, infatti, come specificazione del diritto alla buona amministrazione si è parlato di un diritto fondamentale al controllo dell’uso delle risorse finanziarie, che in Italia è soprattutto esercitato dalla Corte dei Conti).[26]

Il rapporto Autorità – Libertà, tradizionalmente caratterizzato dalla preminenza della Amministrazione Pubblica, ha subito, negli ultimi anni, un riequilibrio a favore del cittadino consentendogli di attivare un ampio catalogo di pretese a tutela dei propri interessi e degli standars qualitativi dei servizi erogati dal Potere Pubblico.[27]

Diritti Politici

 
La manifestazione tipica dell’azione amministrativa, cioè, il provvedimento autoritativo non è più, dunque, frutto dell’esclusiva determinazione dell’Amministrazione, bensì l’esito di un procedimento caratterizzato dall’accentuata dialettica fra il Potere Pubblico ed il cittadino.

Per ciò che attiene, in conclusione, i diritti politici vi è da dire che essi consistono nell’insieme di quelle facoltà che consentono al cittadino di partecipare, tanto direttamente quanto indirettamente, all’adozione delle scelte collettive e di governo.

Si pensi al diritto di elettorato attivo e passivo[28], al diritto di associarsi liberamente in associazioni e partiti politici[29], ed al diritto di accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive[30].

Vi è da dire, inoltre, che i diritti politici partecipano della natura dei diritti sociali attesa la necessità che anche per l’esercizio dei primi lo Stato appronti una complessa struttura organizzativa che ne consenta l’esercizio.

Si pensi, ad esempio, al diritto di voto ed alla relativa macchina elettorale senza la quale il diritto si svuoterebbe di significato.

 

 

 

 

 



[1]Per diritto naturale s’intende, in senso latissimo, un diritto che ha per suo fondamento, immediato o mediato, la natura e che quindi proprio per tale fondamento si distingue dal diritto positivo,jus in civitate positum, la cui fonte di produzione è invece empiricamente e storicamente individualizzata: il legislatore, il giudice, la comunità ( secondo che si abbia produzione legislativa, giudiziaria, o consuetudinaria del diritto). A seconda delle concezioni, si fa poi consistere il diritto naturale ora in un compiuto sistema di norme, ora in un complesso di principi operativi, ora persino in un unico principio, fermo restandone in tutti i casi il fondamento naturale” Cotta S. voce Diritto Naturale in Enc. Dir. Vol. XII, pag. 647

[2] Il riferimento è a John Locke, pensatore liberale del diciassettesimo secolo che nel “Trattato sul Governo” così si esprime:” Ma, per quanto sia uno stato di libertà, questo non è uno stato di licenza. Benché sia incondizionatamente libero in questo stato di disporre della sua persona e dei suoi beni, l’uomo non è libero di distruggere se stesso o altra creatura umana che gli appartenga se non quando lo imponga un motivo più nobile della semplice sopravvivenza. Lo stato naturale è governato da una legge di natura che è per tutti vincolante; e la ragione, che è poi quella legge stessa, insegna a chiunque soltanto voglia interpellarla che, essendo tutti gli uomini eguali e indipendenti, nessuno deve ledere gli altri nella vita, nella salute, nella libertà o negli averi.” Locke J. Trattato sul governo, Editori Riuniti, Roma 1997, pag. 6.

[3] Con il termine diritto positivo la dottrina giuridica contemporanea identifica e qualifica il diritto, nella sua concreta, e dunque, storica determinazione; ……Per diritto positivo si intende quella zona o fascia dell’esperienza giuridica stessa, che viene a costituirne la parte mediana, o centrale: esso è chiamato diritto “positivo”, perché caratterizzato dalla presenza di reazioni vitali e dalla possibilità della loro rilevazione in sede scientifica; ossia, è positivo non soltanto perché posto o positum in senso passivo, ma perché esso è attivo e in funzione, è forma ed è azione.” Frosoni V. voce Diritto positivo in Enc. Dir. Vol. XII, pag. 653.

[4] Vi è da dire, infatti, che si può parlare di un diritto naturale di matrice razionalistica, di diritto naturale di matrice teologica e di diritto naturale naturalistico.

[5] In tale prospettiva il diritto naturale costituisce il criterio di accertamento della giustizia del diritto positivo  alla cui obbligatorietà giuridica aggiunge quindi, od oppone la propria obbligatorietà morale” Cotta S. op. cit.

[6] Emblematico quanto Hans Kelsen afferma a proposito di ciò che viene descritto nel XVIII capitolo del Vangelo di San Giovanni  in riferimento al processo di Gesù innanzi a Pilato. Di fronte al consenso unanime dei Giudei di voler liberare Barabba al posto di Gesù, Kelsen commenta: “Per quelli che credono nel Figlio di Dio e nel re dei Giudei quale testimone dell’assoluta verità, questo plebiscito è certo un forte argomento contro la democrazia. Ma soltanto a una condizione: di essere cosi sicuri della nostra verità politica da imporla, se necessario, con il sangue e con le lacrime, di essere così sicuri della nostra verità, come lo era della sua il Figlio di Dio.” Kelsen H. Assolutismo e relativismo nella filosofia e nella politica (1948), trad. it. in La democrazia, il Mulino, Bologna 1981, pp. 452 – 453.

[7] Conclusasi la II guerra mondiale, le potenze vincitrici giudicarono, per il tramite di un tribunale speciale, i crimini contro l’umanità commessi dai gerarchi nazisti. Il processo si svolse a Norimberga, città tedesca dall’alto valore simbolico.

[8] Il processo di Norimberga, come è facile intuire, si concluse con la condanna dei principali ufficiali e gerarchi nazisti.

[9] Tale scuola di pensiero si rifà al “cognitivismo etico”, a quella teoria, cioè, che contro il relativismo ritiene di dover affermare un nucleo minimo di principi naturali validi in assoluto, a prescindere dalle epoche storiche ed indipendentemente dal riconoscimento formale di qualsivoglia ordinamento statuale.

[10] Per questa classificazione si veda Bobbio N. “ L’età dei diritti”,  Einaudi, Torino 1997. L’autore, convinto assertore della storicità dei diritti fondamentali, così si esprime: “ Il problema su cui sembra che i filosofi sono chiamati a dare la loro sentenza del fondamento, addirittura del fondamento assoluto, irresistibile, inoppugnabile, dei diritti dell’uomo, è un problema mal posto: la libertà è un effetto delle guerre di religione, le libertà civili, delle lotte dei parlamenti contro i sovrani assoluti, la libertà politiche e quelle sociali, della nascità, crescita, e maturità del movimento dei lavoratori salariati, dei contadini con poca terra o nullatenenti, dei poveri che chiedono ai pubblici poteri non solo il riconoscimento della libertò personale e delle libertà negative, ma anche la protezione del lavoro contro la disoccupazione, e i primi rudimenti di istruzione contro l’analfabetismo, e via via l’assistenza per l’invalidità e la vecchiaia, tutti bisogni cui i proprietari agiati potevano provvedere da se. Accanto ai diritti sociali, che sono stati chiamati diritti della seconda generazione, oggi sono emersi i c.d. diritti della terza generazione, che costituiscono una categoria a dire il vero ancora troppo eterogenea e vaga per consentirci di che cosa esattamente si tratti. Il più importante è quello rivendicato dai movimenti ecologici: il diritto a vivere in un ambiente non inquinato. Ma già si affacciano nuove richieste che non saprei chiamare se non diritti della quarta generazione, riguardanti gli effetti sempre più sconvolgenti della ricerca biologica che permetterà manipolazioni del patrimonio genetico di ogni singolo individuo

[11] Recentemente si è sostenuto che rientrerebbero fra i diritti fondamentali anche il diritto all’aborto, il diritto all’identità sessuale o, addirittura, il diritto ad una buona amministrazione.

[12] Le prime costituzioni si definivano “ octroyée”, cioè, concesse dal Sovrano per sua grazia.

[13] Per il tramite dell’art. 2 della Costituzione il potere costituente,  potere in teoria sciolto da alcun vincolo, ha circoscritto tanto il proprio raggio d’azione quanto quello del potere costituito, all’interno dello spazio delimitato dal riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo.

[14] Qualche autore, tuttavia, pur riconoscendo che l’art. 2 Cost. debba essere letto come norma di chiusura avverte il pericolo dell’eccessiva estensione delle garanzie costituzionali a nuove posizioni soggettive: “ Tale apertura al nuovo, tuttavia, non va intesa come elemento in grado di legittimare il libero ed automatico accesso alle garanzie costituzionali di ogni e qualunque interesse sociale, per quanto rilevante. Se così fosse, infatti, essa anziché porsi come elemento integrativo del sistemo complessivo di tutela voluto dal Costituente, potrebbe, al contrario indebolirne l’efficacia: è evidente, infatti, che un accesso indiscriminato degli interessi alle garanzie costituzionali, oltre al rischio di introdurre elementi di contraddittorietà nel disegno costituzionale ( va qui sottolineato, infatti, che ad ogni nuovo diritto corrisponde una limitazione di altre situazioni soggettive), farebbe venir meno l’identità specifica che, in tale disegno, hanno i diritti di libertà.” Caretti  - De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, Torino 2001, pag. 435.

[15] Ci si è interrogati su quale debba essere il rango della fonte che opera il riconoscimento dei nuovi diritti inviolabili, se una legge ordinaria o una norma costituzionale: “ Il problema non è di facile soluzione, poiché, se da un lato sarebbe da accogliere l’idea circa la sufficienza di previsione con legge della Repubblica, dall’altro sarebbe, parimenti, da condividere la necessità dell’intervento della legge costituzionale – pur non sussistendo, al riguardo, una riserva esplicita in tal senso – in considerazione della circostanza in base alla quale il riconoscimento dei diritti inviolabili, una volta avvenuto, non è più ritrattabile, neppure con legge costituzionale, essendo il principio di cui all’art. 2 Cost. , uno di quelli caratterizzanti la nostra forma repubblicana, e pertanto, con questa, non soggetti a revisione costituzionale”. Arcidiacono L. in Istituzioni di diritto pubblico, Monduzzi, Bologna 1993, pag. 224.

[16] Il preambolo della costituzione francese dispone, infatti, che il popolo francese proclama solennemente la sua fedeltà ai diritti dell’uomo ed ai principi della sovranità nazionale così come sono stati definiti dalla dichiarazione del 1789, confermata ed integrata dal preambolo della Costituzione del 1958.

[17] La versione originaria della Costituzione tedesca approvata il 23 maggio 1949 è stata successivamente più volte emendata; in particolare, in occasione della stipulazione del “ trattato di unificazione” fra la Repubblica Federale Tedesca e la Repubblica Democratica Tedesca del 31 agosto 1990 e per la predisposizione delle misure necessarie per l’attuazione del Trattato di Maastricht il 21 dicembre 1992.

[18] La Costituzione è del 1978, il teso è rimasto immutato fino ad oggi, salvo un conciso emendamento appartato il 27 agosto 1992 all’art. 13 in seguito alla firma del “ Trattato di Maastricht “ per consentire la concessione del diritto di elettorato attivo e passivo ai cittadini degli Stati della Unione Europea nelle elezioni  comunali.

[19] Io non dico che il Governo debba o non debba proseguire in questa via. Se fosse possibile di svolgere l’industria privata, al punto che essa si potesse incaricare delle grandi opere pubbliche che si farebbero nello Stato, darei di buon grado la preferenza a questo sistema; ma ove questo spirito pubblico non si svolgesse, e non si svolgesse in modo tale da compiere da sé solo le opere di pubblica utilità imperiosamente richieste, crederei che piuttosto che non farle, sarebbe sempre meglio se venissero eseguite dal Governo col mezzo di prestiti”. Camillo Benso Conte di Cavour, in “La libertà come fine”, antologia di scritti e discorsi ( 1846 -1861) a cura di Roberto Balzani, Ideazione2002, pag. 162.

[20] Si pensi ad es. al diritto alla libertà di manifestazione del pensiero o alla libertà di riunione: l’esercizio di questi diritti non necessita di un attività positiva dello Stato il quale, al contrario, deve astenersi con i suoi poteri pubblici dal violare, dall’intralciare o dal rendere particolarmente oneroso l’esercizio stesso.

[21] L’apparato pubblico è stato chiamato a fornire e garantire la salute, la casa, il lavoro, la pensione, lo studio e quant’altro di volta in volta una consistente schiera di gruppi organizzati è riuscita ad ottenere. Questa la spiegazione di Bobbio: “ Questa moltiplicazione ( stavo per dire proliferazione) è avvenuta in tre modi: a) perché è andata aumentando la quantità dei beni considerati meritevoli di essere tutelati; b) perché è stata estesa la titolarità di alcuni tipici diritti a soggetti diversi dall’uomo; c9 perché l’uomo stesso non è più stato considerato come ente generico o uomo in astratto, ma è stato visto nella specificità o nella concretezza delle sue diverse maniere di essere nella società, come infante, come vecchio, come malato ecc…In sostanza, più beni, più soggetti, più “ status” dell’unico individuo. Superfluo notare che fra questi tre processi vi sono relazioni di interdipendenza. Il riconoscimento di nuovi diritti comporta quasi sempre l’aumento di diritti. Ancora più superfluo far rilevare, ciò che importa ai nostri fini, che tutte e tre le cause della sempre più accelerata moltiplicazione di diritti dell’uomo fanno immediatamente apparire sempre più evidente e esplicita la necessità di fare riferimento a un determinato contesto sociale”. Bobbio N. in op. cit. pag. 67.

[22] Si fa riferimento, in particolare, all’ampio e serrato dibattito sull’efficienza dello Stato sociale e del suo consistente apparato amministrativo il cui funzionamento richiede ingenti somme di denaro pubblico ma la cui capacità di erogare servizi di qualità, spesso ed a ragione, è posta in discussione.

[23]Superfluo aggiungere che il riconoscimento dei diritti sociali pone, oltre il problema della proliferazione dei diritti dell’uomo, problemi ben più difficili da risolvere, perché la protezione di questi ultimi richiede un intervento attivo dello Stato che la protezione dei diritti di libertà non richiede, e ha prodotto quella organizzazione di pubblici servizi da cui è nata addirittura una nuova forma di Stato, lo Stato sociale”. Bobbio N. Op. cit. pag. 62.

[24] Sono esempi dei doveri di solidarietà: la difesa della Patria ( art. 52), l’obbligo di contribuzione alle spese pubbliche ( art. 53 ), la fedeltà alla Repubblica ( art. 54 ).

[25] L’art. 3 Cost. è stata da sempre intesa quale norma programmatica che imporrebbe al legislatore ordinario, per il tramite della legge, il raggiungimento di determinati obiettivi.

[26] Inteso come buon andamento dell’amministrazione il principio della buona amministrazione è costituzionalizzato all’art.97 della Carta fondamentale.

[27] La legge n. 241/1990, di recente modificata ed integrata, ha disciplinato lo svolgimento del procedimento amministrativo attribuendo al soggetto privato numerosi e consistenti facoltà che gli consentono di interloquire e di interferire nell’azione della pubblica amministrazione. Il provvedimento dell’autorità può, addirittura, essere sostituito da accordi tra il privato e la p.a. Per un commento alla legge n. 241/90 si veda Caringella F. “Il procedimento amministrativo”  Edizioni Giuridiche Simone, Napoli 2002.

[28] Art.48 Cost.

[29] Art.49 Cost.

[30] Art.51 Cost.

PE LA MAIELL !

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LA MIA MAIELLA : REGINA MAESTOSA DELLA MIA TERRA !!! URLA STOP scie chimiche!!! Vasto (CH) Abruzzo Italia Europa Mondo 14 gennaio 2014 ore 15.00